18. Letteratura varia.
Alla secondaria letteratura storica appartiene di diritto l'oratoria. Il discorso, scritto o non scritto, è di sua natura effimero e non appartiene alla letteratura; esso però, al pari della narrazione e dell'epistola, e ancora più facilmente che non queste coll'evidenza del momento e colla potenza dello spirito onde deriva, può entrare a far parte dei tesori permanenti della letteratura nazionale.
Le registrazioni dei discorsi di argomento politico pronunciati dinanzi alla borghesia o dinanzi ai giurati, non solo avevano quindi da lungo tempo anche a Roma una gran parte nella vita pubblica, ma questi discorsi, e particolarmente quelli di Caio Gracco, si annoveravano con ragione fra gli scritti classici dei romani.
Senonchè in quest'epoca si verifica qui uno strano cambiamento. La letteratura politica è in decadenza come lo stesso discorso politico.
Questo, tanto in Roma come in generale negli antichi regimi, aveva il suo punto culminante nei dibattimenti dinanzi alla borghesia; qui l'oratore non era legato, come in senato, da riguardi collegiali e da forme studiate, non, come nelle arringhe giudiziarie, dagli interessi dell'accusa e della difesa, estranei in sè alla politica; qui gli si gonfiava il cuore soltanto al cospetto del grande e potente popolo romano, pendente dalle sue labbra.
Ma tutto ciò ora non si vedeva più. Non già che vi fosse scarsità di oratori e di mezzi per la pubblicazione dei discorsi che si tenevano dinanzi alla cittadinanza; anzi gli scritti politici erano divenuti assai prolissi e cominciavano a divenire molesti ai commensali, dacchè il padrone di casa annoiava i suoi ospiti col leggere i suoi più recenti discorsi. Anche Publio Clodio fece pubblicare i suoi discorsi popolari, appunto come Caio Gracco, in forma di opuscoli; ma la cosa non è la medesima se fatta da due uomini diversi.
I più distinti capi dell'opposizione, particolarmente Cesare, parlavano di rado dinanzi alla borghesia, e non pubblicavano più i discorsi tenuti dinanzi ad essa; essi adottarono anzi pei loro opuscoli politici una forma diversa da quella tradizionale delle concioni, al cui riguardo meritano particolare menzione gli elogi e le censure su Catone.
Ciò è chiaro. Caio Gracco aveva parlato alla borghesia; ora si parlava alla plebe; tale il pubblico, tale il discorso. Non era da meravigliare se il celebre scrittore politico evitava anche gli ornamenti, come se dirigesse le parole alle masse raccolte nel foro della capitale.
Se quindi la letteratura oratoria va perdendo nel valore letterario e politico, in cui fu tenuta finora, nello stesso modo che decadono naturalmente tutti i rami della letteratura sviluppandosi dalla vita nazionale, comincia nello stesso tempo a farsi strada una singolare letteratura patrocinante non politica.
Fino allora non si era ancora pensato che le elocuzioni degli avvocati, come tali, fossero destinate – oltre che ad uso dei giudici e delle parti interessate – anche alla edificazione letteraria dei contemporanei e dei posteri; nessun avvocato aveva fin qui scritto e pubblicato le sue arringhe, se non fossero state al tempo stesso discorsi politici e non dovessero essere diffuse come scritti di parte, e anche questo non era avvenuto di frequente.
Lo stesso Quinto Ortensio (640-114 = 704-50), il più celebre avvocato romano, nei primi anni di questo periodo pubblicò poche delle sue elocuzioni, e, come pare, soltanto le politiche e le semi-politiche.