10. Senato, cavalieri e popolani.
La ritirata dalla scena politica dell'uomo, cui secondo lo stato delle cose spettava il primo posto, ricondusse presso a poco alla medesima condizione dei partiti, che noi trovammo nell'epoca dei Gracchi e di Mario. Silla non aveva dato il governo nelle mani del senato, ma glielo aveva assicurato; e così rimase al senato, anche dopo cadute le dighe costruite da Silla, mentre la costituzione, colla quale esso governava, in sostanza quella di Gracco, era imbevuta di uno spirito avverso all'oligarchia.
La democrazia aveva ottenuto il ristabilimento della costituzione di Gracco; ma senza un nuovo Gracco era un corpo senza capo ed era per sè stesso evidente e dagli ultimi avvenimenti dimostrato ancor più chiaramente, che questo capo non poteva essere nè Pompeo nè Crasso. Così l'opposizione democratica, in mancanza di un capo il quale afferrasse addirittura il timone, doveva per il momento accontentarsi di frenare e molestare continuamente il governo. Ma fra l'oligarchia e la democrazia sorse a nuova considerazione il partito dei capitalisti, il quale nell'ultima crisi aveva fatto causa comune con la seconda, e che gli oligarchi erano ora intenti a tirare dalla loro per procurarsi un contrappeso contro la democrazia.
Accarezzati dalle due parti, i capitalisti non mancarono di trar profitto dalla vantaggiosa loro posizione facendo ora (687 = 67) restituire con un plebiscito il solo degli antichi privilegi che loro mancasse ancora, cioè le 14 panche riservate in teatro alla classe dei cavalieri. Così essa, in tutto, senza romperla bruscamente colla democrazia, si andava accostando maggiormente al governo.
Già i rapporti del senato con Crasso ed i suoi clienti lo dimostrano; ma una migliore armonia sembra subentrata tra il senato e l'aristocrazia dei capitalisti colla circostanza che il senato tolse nel 686 = 68 al più valente fra i suoi ufficiali, Lucio Lucullo, dietro i reclami dei capitalisti da questi gravemente offesi, il governo della provincia d'Asia, per essi di tanta importanza.