2. Le religioni orientali.
Se però qui per convenienza politica si sosteneva una religione senza fede, altrove si ebbe un largo risarcimento. L'incredulità e la superstizione, miscuglio policromo dello stesso fenomeno storico, si davano la mano anche nel mondo romano di quel tempo, e non mancavano individui che le riunivano in se tutt'e due, che negavano con Epicuro l'esistenza degli dei e al tempo stesso oravano e sacrificavano dinanzi ad ogni cappella.
I soli dei che avessero ancora qualche valore erano naturalmente quelli venuti dall'oriente, e come gli uomini affluivano in Italia venendo dalle province greche, così emigravano anche gli dei dall'oriente, recandosi sempre in maggior numero in occidente.
Di quale importanza fosse il culto frigio a Roma lo prova tanto la polemica degli scrittori più anziani, come Varrone e Lucrezio, quanto la poetica glorificazione che ne fa il moderno Catullo, che conchiude con la caratteristica preghiera che la dea voglia benignarsi di far impazzire soltanto gli altri e non lui.
Vi si aggiunse come nuovo il culto persiano, il quale sarebbe pervenuto agli occidentali attraverso i pirati, che, provenienti dall'oriente e dall'occidente, si incontrarono sul Mediterraneo; il monte Olimpo nella Licia è designato quale suo più antico tempio in occidente. Che nell'accoglienza fatta ai culti orientali nell'occidente si lasciasse cadere assolutamente tutto ciò che essi avevano di più alto, gli elementi speculativi e morali, lo prova il fatto che il supremo iddio della dottrina pura di Zarathustra, Ahuramazda, rimase quasi ignoto in occidente, dove l'adorazione si volgeva di preferenza nuovamente a quel dio che nell'antica religione popolare persiana aveva occupato il primo posto, e che da Zarathustra era stato rimosso al secondo, a Mitra, dio del sole.
Prima ancora delle più luminose e più miti figure celesti persiane, entrò in Roma il misterioso e noioso sciame delle caricature delle divinità egizie: Iside, madre della natura, con tutto il seguito: con Osiride, sempre spirante e sempre risorgente, col cupo Serapide, col silenzioso e serio Arpocrate, coll'Anubi dalla testa di cane.
L'anno in cui Clodio rese liberi i circoli e le conventicole (696 = 58), e, appunto in seguito a tale emancipazione della plebe, questo sciame si disponeva senza dubbio ad invadere l'antica cittadella del Giove romano sul Campidoglio, si riuscì a stento ad allontanarlo di qui confinando gli inevitabili templi nei sobborghi di Roma.
Nessun culto era nelle basse classi della popolazione della capitale egualmente popolare: quando il senato ordinò la distruzione dei templi di Iside posti entro la cinta, nessun operaio osò porvi per primo la mano, e fu costretto il console Lucio Paolo, a darvi il primo colpo di piccone (704 = 50). Si poteva scommettere che quanto più una fanciulla era dissoluta, tanto più fervidamente essa adorava Iside: s'intende che ne traeva profitto coll'indovinare la sorte, spiegare sogni e con altre mille ciarlatanerie.
L'oroscopia era già esercitata scientificamente: Lucio Taruzio da Fermo, uomo distinto e dotto nel suo genere, amico di Varrone e di Cicerone, fece con tutta serietà l'oroscopo della natività dei re Romolo e Numa e della stessa città di Roma, e con la sua scienza caldaica ed egizia, ad edificazione dei credenti delle due parti, convalidò le narrazioni della cronaca romana.
Ma il più meraviglioso fenomeno in questo campo è il primo tentativo di accordare la rozza fede col pensiero speculativo, la prima apparizione nel mondo romano di quelle tendenze che noi siamo soliti a designare come neo-platoniche. Il più antico apostolo delle medesime fu Publio Nigidio Figulo, nobile romano, appartenente alla più rigida frazione dell'aristocrazia, il quale aveva coperto la carica di pretore nel 696 = 58 e morì, esule politico, fuori d'Italia nel 709 = 45.
Egli creò, con una sorprendente e molteplice dottrina, e con una ancora più sorprendente ortodossia, coi più disparati elementi, un edificio filosofico-religioso, il cui meraviglioso piano egli seppe sviluppare molto meglio con le sue predicazioni che non coi suoi scritti teologici e scientifici.
Cercando di liberarsi dai cascami dei sistemi filosofici in corso e dalle astrazioni, egli risalì alla ingombra filosofia presocratica, agli antichi saggi della quale il pensiero stesso si era manifestato con una sensuale vivacità.
L'investigazione scientifico-naturale, che, trattata convenientemente, offre anche oggi alle mistiche pazzie e ai devoti inganni un così eccellente appoggio, e che in grazia della più difettosa conoscenza delle leggi fisiche ne offriva uno ancora più comodo nei tempi antichi, aveva evidentemente anche una parte importante.
La sua teologia si basava essenzialmente su quel singolare amalgama nel quale, con le idee affini della religione greca, erano affluite la dottrina orfica e altre dottrine antichissime o recentissime indigene, fuse insieme con quelle occulte persiane, caldaiche ed egizie, e nel quale amalgama Figulo fece entrare anche i semi-risultati dell'investigazione etrusca nel nulla, nonchè la scienza augurale indigena, in una ancor più ampia ed armonica confusione.
All'intero sistema diede la consacrazione politico-religioso-nazionale col nome di Pitagora, il nome dell'uomo di stato ultra conservatore, la cui suprema massima era quella di «promuovere l'ordine ed impedire il disordine», del taumaturgo e del negromante, dell'antico sapiente, divenuto famigliare agli Italici, il cui nome è intrecciato persino nelle leggende di Roma, e la cui statua si osservava nel foro romano.
Come la nascita e la morte sono in parentela fra loro, così sembrava che Pitagora non dovesse trovarsi soltanto alla culla della repubblica, come amico del saggio Numa e come collega della sapiente madre Egeria, ma anche alla sua tomba, come ultimo sostegno della sacra dottrina augurale.
Il nuovo sistema non solo era meraviglioso, ma operava miracoli. Nigidio predisse al padre dell'imperatore Augusto, nel giorno stesso in cui questi nacque, la futura grandezza del figlio; anzi i profeti evocavano gli spiriti ai credenti, e, ciò che più importa, additavano i nascondigli ove si trovavano i loro danari smarriti. La neovecchia scienza, comunque essa fosse, faceva però una profonda impressione sui contemporanei; i più ragguardevoli, i più dotti, i più valenti uomini dei diversi partiti, il console del 705 = 49 Appio Claudio, il dotto Marco Varrone, invocavano gli spiriti e sembra persino che contro le pratiche di questa società abbia dovuto intervenire la polizia.
Questi estremi sforzi per salvare la teologia romana fanno, come gli analoghi tentativi di Catone nel campo politico, una impressione comica e insieme dolorosa; si può sogghignare del Vangelo e degli apostoli, ma è sempre una cosa seria quando anche gli uomini valenti cominciano a piegare all'assurdo.