15. Estensione del diritto di cittadinanza.
L'anno 664 = 90 era incominciato col più aspro rifiuto dell'accordo proposto dagli insorti e con una serie di processi, per cui i più caldi difensori dell'egoismo patriottico, i capitalisti, si vendicavano di tutti coloro ch'erano sospetti d'aver sostenuto principî di moderazione e di opportuna condiscendenza.
Invece il tribuno Marco Plauzio Silvano, entrato in carica il 10 dicembre di quell'anno, fece passare una legge, la quale, togliendo il processo dei delitti d'alto tradimento dalle mani dei giurati appartenenti alla classe dei capitalisti, l'affidava ad altri giurati chiamati dalla libera ed indistinta elezione dei distretti; in tal modo, la commissione, da flagello che era nelle mani dei moderati diventò flagello in quelle degli ultra moderati, e mandò tra gli altri in esilio il suo autore stesso Quinto Vario, al quale la pubblica opinione attribuiva le più orrende enormità democratiche: l'avvelenamento di Quinto Metello e l'uccisione di Druso.
Più importante di questa stranamente franca palinodia politica era il nuovo indirizzo dato alla politica contro gli Italici.
Appunto trecento anni erano trascorsi dacchè Roma l'ultima volta aveva dovuto subire una pace imposta; Roma era ora di nuovo soccombente e la pace desiderata si poteva solo ottenere accettando almeno in parte le condizioni dettate dal nemico.
Con i comuni che avevano prese le armi per soggiogare e distruggere Roma, le ostilità erano veramente troppo avanti per sperare che Roma volesse dar loro le richieste concessioni, e se anche adesso le avesse date sarebbero state respinte dai comuni.
Però essendosi con restrizioni accordato a quelli rimasti fino allora fedeli quanto essi dapprima chiedevano, fu così in parte salvata l'apparenza di spontanea arrendevolezza, in parte impedita la consolidazione altrimenti inevitabile della federazione, e così trovato il modo di ridurli al dovere.
Furono aperte le porte della cittadinanza romana, così a lungo vietata alle preghiere, nel momento in cui le spade battevano ad esse; ed anche adesso non sinceramente e pienamente, ma con repugnanza e in modo che avviliva i nuovi ammessi.
Una legge promossa dal console Lucio Cesare[10] accordava il diritto di cittadinanza agli abitanti di tutti quei comuni federali italici che sino allora non si erano staccati apertamente da Roma; una seconda legge, provocata dai tribuni Marco Plauzio Silvano e Caio Papirio Carbone, accordava ad ogni domiciliato in Italia un termine di due mesi, entro il quale presentandosi ad un magistrato romano, gli era concesso il diritto della cittadinanza romana.
Ma il diritto di votazione di questi neo-cittadini era, come quello dei liberti, limitato in modo che essi non potevano essere iscritti che in otto dei trentacinque distretti, come i liberti solo in quattro; non possiamo assicurare se la limitazione fosse personale, o, come pare piuttosto, ereditaria.
Questa misura si riferiva anzitutto all'Italia propriamente detta, che allora verso il nord oltrepassava di poco Ancona e Firenze.