9 Clienti e stranieri.
Questo diritto reggeva in Roma cittadini e clienti, fra i quali, da quanto ci consta, esisteva, sino dai primi tempi, la più completa uguaglianza nel diritto privato. Lo straniero invece, che non fosse legato ad alcun patrono romano, e che perciò non partecipasse alla protezione accordata ai clienti, non aveva nessun diritto, nè i suoi beni erano garantiti. Tutto ciò che il cittadino romano gli toglieva, era considerato di buon acquisto, come si raccoglie sulla sabbia del lido una conchiglia non appartenente ad alcuno. Solo il campo posto oltre i confini romani, può ben essere acquistato dal cittadino romano in via di fatto, ma non può essere considerato come sua proprietà giuridica, poichè il solo comune ha diritto di allargare i confini del proprio territorio. Diversamente avviene in guerra: ciò che il soldato acquista combattendo sotto le insegne, sia cosa mobile od immobile, non lo procaccia a sè, ma allo stato. Deroghe a queste regole generali per assicurare ai membri di comunità straniere certi diritti in Roma si fanno per mezzo di trattati pubblici. Importante, sotto questo aspetto, è la lega perpetua tra Roma e il Lazio, con la quale si statuì che avessero forza di legge tutti i trattati conchiusi tra Romani e Latini, e nello stesso tempo pei Latini fu ordinata una più spiccia procedura civile innanzi ai giurati «rivendicatori» (reciperatores)[8], i quali, contro la romana consuetudine di affidare la decisione ad un giudice unico, deliberavano sempre collegialmente e sedevano in numero dispari, e però possono considerarsi come un tribunale di commercio composto di giudici delle due nazioni con un presidente. Essi rendono le sentenze sul luogo del conchiuso contratto, e devono aver terminato il processo al più tardi in dieci giorni.
Le forme osservate dai Romani e dai Latini nelle loro relazioni erano naturalmente quelle stesse forme generali che reggevano i rapporti tra i patrizi e i plebei, poichè l'emancipazione ed il nexus, in origine, non erano atti formali, ma espressioni significative dei concetti giuridici, i quali perciò dovevano aver corso ovunque si estendeva la lingua latina. In diverso modo e sotto altre forme erano regolati i rapporti cogli stati esteri propriamente detti. Trattati di questa natura devono essere esistiti coi Ceriti e con altri popoli amici, ed essere stati la base del diritto internazionale (ius gentium), che a Roma andava a poco a poco svolgendosi accanto al diritto civile. Una traccia di questa genesi del diritto si riscontra nel mutuum, mutamento (da mutare come dividuus), forma d'imprestito, che non si fonda, come il nexum, su una dichiarazione obbligatoria, fatta dal debitore formalmente in presenza dei testimoni, ma sul semplice passaggio del denaro da una all'altra mano, e che perciò è evidentemente derivata dal commercio con genti straniere, come il nexum dal commercio nel proprio paese. È quindi notevole che la parola μοῖτον riapparisca nel greco siciliano, e con essa si connetta l'adozione della parola latina carcer nel dialetto siciliano κάρκαρον.
Poichè è linguisticamente provato che queste due parole sono d'origine latina, il loro uso nel dialetto locale siciliano fornisce una ponderosa prova delle frequenti relazioni dei navigatori latini con quell'isola, in conseguenza delle quali essi ebbero occasione di prendere in prestito denari, e di assoggettarsi alla cattura per debiti, come si praticava in tutti gli antichi diritti in caso di mancata restituzione. Viceversa il nome del carcere di Siracusa «cave di pietra» o λατομίαι, fu in antichi tempi riportato al carcere di stato di Roma, ampliato in lautumiae.