10. La massa dei Cittadini con Cesare.
La stolta passione degli impotenti, la savia moderazione dei forti, produssero il loro effetto. Tutta la massa che alla politica preferiva gli interessi materiali, si gettò nelle braccia di Cesare. Le città provinciali idolatravano l'«onestà, la moderazione, la prudenza» del vincitore; persino i suoi avversari andavano ripetendo che questi omaggi gli erano tributati con tutta sincerità.
I grandi capitalisti, gli appaltatori delle imposte ed i giurati non si sentivano inclinati ad avvicinarsi più oltre a quei governanti dopo il naufragio toccato al partito della costituzione in Italia; i capitali ricomparvero ed i ricchi signori ritornarono al loro mestiere di tenere i libri degli interessi. Persino la grande maggioranza del senato – almeno in quanto al numero, poichè in essa non si contavano che pochissimi senatori distinti ed influenti – era rimasta in Italia, e in parte nella capitale, nonostante gli ordini di Pompeo e dei consoli, e si adattava al regime di Cesare. La stessa apparente e ben calcolata esuberanza di benignità di Cesare, produsse il suo effetto e l'angoscia prodotta nelle classi dei possidenti dalla minacciante anarchia fu alquanto mitigata.
Fu questo in seguito un vantaggio incalcolabile; l'allontanamento dell'anarchia e dell'angoscia prodotta dall'anarchia, quasi altrettanto nociva, era una condizione necessaria per la futura riorganizzazione della repubblica. Ma questa moderazione era in quel momento per Cesare più perniciosa che non sarebbe stata la rinnovazione delle scene d'orrore di Cinna e di Catilina; essa non fece cambiare alcun nemico in amico e cambiò qualche amico in nemico. Il partito catilinario di Cesare mormorava perchè non si procedeva agli assassinî e al saccheggio; da questi uomini audaci, disperati e di talento, si dovevano attendere i colpi più arrischiati.
Invece i repubblicani di tutte le gradazioni di colore non furono dalla clemenza del vincitore nè convertiti nè conciliati. Secondo le massime professate dal partito di Catone, gli obblighi che si avevano per ciò che egli chiamava col nome di Patria, proscioglieva da qualsiasi altro riguardo; persino coloro che andavano debitori a Cesare della libertà e della vita, erano autorizzati ed obbligati a dare di mano alle armi o almeno a congiurare contro di lui.
Le frazioni meno pronunciate del partito costituzionale veramente si mostravano volenterose di accettare pace e protezione dal nuovo monarca; ma non cessavano per questo di maledire di tutto cuore la monarchia ed il monarca. Quanto più manifesta si presentava la riforma della costituzione, tanto più chiaramente si manifestava il sentimento repubblicano nella grande maggioranza dei cittadini, tanto nella capitale, dove gli animi erano più vivamente portati per la politica, quanto nella popolazione più energica della campagna e delle città provinciali; con ragione gli amici della costituzione in Roma annunziavano ai loro soci nell'esilio che nella capitale tutte le classi e tutti gli individui erano per Pompeo.
Il cattivo spirito di tutti questi partiti si accrebbe ancora di più per la pressione morale che i più risoluti e i più distinti partigiani esercitavano come emigrati sulle masse dei cattivi e degli infingardi. L'uomo onesto si sentiva rimordere la coscienza rimanendo in Italia; il semi-aristocratico si credeva associato coi plebei se non andava in esilio insieme ai Domizi ed ai Metelli e tanto più se sedeva fra le nullità del senato di Cesare.
La stessa benignità del vincitore aumentava l'importanza politica di questa tranquilla opposizione: dal momento che Cesare si asteneva dall'esercitare il terrorismo, i segreti suoi avversari si credettero di poter senza grave pericolo manifestare la loro antipatia per il suo governo.