5. Intervento dei Tarentini.
I Tarentini sarebbero stati i più naturali alleati dei Sanniti, ma la fatalità che pendeva sul Sannio e in generale sull'Italia, volle che in quel momento decisivo la bilancia che doveva dare il tratto ai destini futuri, stesse nelle mani di codesti Ateniesi italici.
Dal giorno in cui Taranto si era ridotta alla più perfetta democrazia, la costituzione, che per l'antica sua origine dorica era rigidamente aristocratica, venne con incredibile rapidità corrompendosi, e la educazione e le quotidiane occupazioni del popolo tarentino, più industrioso ed agiato che d'alta levatura, e composto nella massima parte di barcaiuoli, di pescatori e d'artieri, allontanavano tutti i gravi pensieri della vita, o li addormentavano colle arguzie e colla rumorosa e affaccendata operosità, di modo che la loro mente fluttuava incerta dalla più grandiosa temerarietà di propositi e dalla più spontanea elevazione di idee alla più vergognosa leggerezza ed ai più puerili capricci.
E non sarà inopportuno ricordare qui, a proposito di quanto appunto notammo quando si trattò dell'essere o non essere di nazioni dotate di grandi e belle qualità e di antica fama, come Platone, il quale venne a Taranto circa sessant'anni prima di questa epoca, trovasse, secondo ch'egli narra, nell'occasione della festa di Dionisio, tutta la città ubbriaca, e come la farsa parodista, la così detta «Tragedia burlesca» fosse stata inventata in Taranto appunto all'epoca della grande guerra sannitica. Ad aggravare questa abitudine di vita scioperata e di poesia buffonesca, che pare essere stata propria dei colti ed eleganti Tarentini, si aggiungeva la tentennante, petulante e cieca politica dei demagoghi di Taranto, i quali si mostravano attivi là dove nulla c'era da fare e si eclissavano quando li chiamava il più evidente loro interesse.
Allorchè, dopo la catastrofe caudina, i Romani e i Sanniti si trovavano alle prese nell'Apulia, i Tarentini inviarono ambasciatori che intimarono ad ambe le parti di cessare dalle ostilità (434 = 320).
Questa intromissione diplomatica in una lotta decisiva per l'Italia non poteva essere ragionevolmente considerata che come prova della ferma decisione presa da Taranto di uscire dallo stato di passività, in cui si era fino allora tenuta.
E veramente era il caso di metter mano ai fatti, per quanto riuscisse difficile e pericoloso ai Tarentini di intraprendere una guerra; giacchè l'indirizzo democratico aveva ridotto le forze dello stato quasi intieramente alla marineria, la quale, col sussidio del numeroso naviglio mercantile, assicurava a Taranto il primo posto fra le potenze marittime della Magna Grecia, mentre l'esercito di terra, in cui stava tutta l'importanza per la guerra sannitica, era composto quasi tutto di mercenari ed era in piena decadenza. Per tutte queste cose non era facile, per la repubblica tarentina, prendere parte alla lotta tra Roma ed il Sannio anche senza tener conto degli intrighi, per lo meno molesti, in cui la politica romana aveva saputo avviluppare i Tarentini coi Lucani.
Se non che con una risoluta volontà tutte queste difficoltà non erano poi insuperabili, tanto è vero che ambedue le parti avversarie giudicarono l'invito degli ambasciatori tarentini come il principio d'una politica più attiva.
I Sanniti, come quelli che erano meno forti, si mostrarono disposti a fare onore all'invito degli ambasciatori; i Romani invece risposero all'intimazione dando il segnale della battaglia.
Il senno e l'onore avrebbero imposto ai Tarentini di far seguire all'arrogante intimazione fatta dai loro ambasciatori l'immediata dichiarazione di guerra a Roma, ma a Taranto si difettava appunto di senno e d'onore e vi si trattavano assai puerilmente gli affari della più alta importanza.
La dichiarazione di guerra non ebbe luogo: e si preferì invece impegnarsi a sostenere la fazione oligarchica delle città siciliane per avversare Agatocle siracusano, che era già stato al servizio di Taranto e vi era caduto in disgrazia, e, seguendo l'esempio di Sparta, si spedì una flotta in Sicilia, che avrebbe potuto rendere migliori servigi nelle acque della Campania (440 = 314).
Di maggiore energia dettero prova i popoli a settentrione e nel cuore d'Italia, scossi, come pare, dalla fondazione della fortezza di Luceria. I primi a muoversi furono gli Etruschi (443 = 311), il cui trattato d'armistizio, concluso nel 403 = 351, era scaduto già da alcuni anni. Sutri, città romana confinaria, ebbe a sostenere un assedio di due anni e nei frequenti combattimenti, che avvennero sotto le sue mura, erano d'ordinario i Romani quelli che ne andavano colla peggio, finchè il console per l'anno 444 = 310 Quinto Fabio Rulliano, generale sperimentato nelle guerre sannitiche, non solo procurò la preponderanza alle armi dei Romani nell'Etruria romana, ma penetrò audacemente anche nel paese degli Etruschi, fino allora rimasto straniero ai Romani in grazia della diversità della lingua e delle poche comunicazioni. Il passaggio per la foresta ciminia, che nessun esercito romano aveva sino allora varcata, ed il saccheggio del ricco territorio rimasto sempre intatto e salvo dalle miserie della guerra guerreggiata, fecero accorrere sotto le armi l'Etruria tutta, ed il governo di Roma, disapprovata questa inconsueta spedizione, non essendo giunto in tempo per vietare al temerario duce di oltrepassare i confini, per far fronte all'inatteso urto di tutte le forze etrusche, raccolse in tutta fretta nuove legioni.
Ma una definitiva vittoria ottenuta a tempo da Rulliano nella battaglia combattuta sulle rive del lago Vadimone, di cui il popolo serbò lunga ricordanza, mutò l'incauto inizio della campagna in una celebrata azione eroica, e fiaccò la resistenza degli Etruschi.
Dissimili dai Sanniti, i quali ormai da diciotto anni combattevano con forze ineguali, tre delle più potenti città etrusche Perusia, Cortona, e Arretium, si accontentarono subito dopo la prima sconfitta, di negoziare una pace separata di trecento mesi (444 = 310), e così nel seguente anno ne conclusero una di quattrocento mesi quei di Tarquinia (446 = 308) dopo che i Romani ebbero riportata presso Perusia una seconda vittoria su altri Etruschi.
Dopo questi avvenimenti anche le altre città si astennero dal guerreggiare, e in tutta l'Etruria per il momento furono deposte le armi.