8 Corruzione della lingua e della scrittura.
Così in tutti i dialetti etruschi scomparvero le lettere medie, mentre gli Umbri perdettero la γ e la d, i Sanniti la d, i Romani furono anche in pericolo di vedere la d confondersi con la r. Nello stesso modo presso gli Etruschi si confusero ben presto la o e la u, e anche presso i Latini si trovarono accenni a questa corruzione. Quasi il contrario accadde delle sibilanti; poichè mentre l'Etrusco mantiene i tre segni z, s, sch, l'Umbro rigetta quest'ultimo, ma sviluppa in sua vece due nuove sibilanti; il Sannita e il Falisco si limitano alla s e alla z come il Greco e il Romano più tardi alla sola s. Si vede che le più squisite differenze vocali erano state ben sentite dagli introduttori dell'alfabeto, uomini colti e bilingui; ma dopo la compiuta separazione della scrittura nazionale dall'alfabeto ellenico, che l'aveva generata, le medie e le tenui a poco a poco si confusero e le sibilanti e le vocali furono guaste; dalle quali trasposizioni di suono, o piuttosto distruzioni del suono, le scritture nazionali italiche ne acquistarono un carattere antigreco.
La distruzione delle forme di flessione e di derivazione procede di pari passo con queste obliterazioni delle vocali. La causa di questo barbarismo non è dunque, in generale, nessun'altra che la inevitabile corruzione che rode continuamente ogni lingua non infrenata e diretta dalla coltura letteraria; colla sola differenza, che nelle variazioni della scrittura si conservarono le prove di quei mutamenti, che di solito si compiono senza lasciare alcuna traccia. E se è vero che questo barbarismo colpisce con maggior forza gli Etruschi che qualunque altra schiatta italica, questa è una prova di più da aggiungere alle altre numerose della loro minore attitudine per la coltura; e se questa corruzione delle lingue colpì tra i popoli italici più profondamente gli Umbri, meno i Romani e più lievemente di tutti i Sabelli meridionali, si dovrà ammettere che in questa singolare varietà di risultati deve avere avuto gran parte il commercio abituale e più attivo degli uni cogli Etruschi, degli altri coi Greci.
1° Introduzione di singoli segni per i suoni ξ, φ, χ. Questa proposta è così antica che tutti gli alfabeti greci e in generale tutti quelli derivati dal greco con unica eccezione di quelli delle isole Thera, Melos e Creta, stanno sotto la sua influenza. Sulle prime essa aggiunse i segni χ = ξῖ, φ = Φι, ψ = γι al fine dell'alfabeto, e in questa forma essa fu accetta sul continente dell'Ellade ad eccezione di Atene e Corinto, e così pure presso i Greci siciliani ed italici. Invece i Greci dell'Asia minore e quelli delle isole dell'arcipelago e, sul continente, i Corinzii, sembrano aver già avuto in uso per il suono ξῖ, il quindicesimo segno dell'alfabeto fenicio (Samech Ξ) quando a loro giunse quella proposta; quindi dei tre nuovi segni essi adoperarono bene il Φ anche per φῖ, ma non il χ per ξῖ, ma per χῖ. Il terzo segno originariamente inventato per χι lo si lasciava ordinariamente cadere, solo nel continente dell'Asia minore lo si mantenne, ma gli fu dato il valore di ψι. Anche Atene seguì la scrittura dell'Asia minore, soltanto che non accettò il φι, nè il ξῖ, ma si scrissero invece come prima le consonanti doppie.
2° Ugualmente di buon'ora si sforzarono d'impedire il facile scambio delle forme per i spezzato ed s Σ; poichè tutti gli alfabeti greci che conosciamo portano le tracce della tendenza a distinguere sempre più nettamente i due segni. Ma già in antichissima epoca devono essere state fatte due proposte di modificazione, ciascuna delle quali trovò la propria zona di diffusione: O si adoperò per la sibilante (per la quale l'alfabeto fenicio aveva due segni, il quattordicesimo M per sch e il diciottesimo Σ per s), il segno M invece del segno Σ (così si scrisse nel tempo più antico sulle isole orientali in Corinto e Corcira e presso gli Achei italici) o si sostituì il segno dell'i mediante la linea /, ciò che divenne molto più comune e, in tempi non molto antichi si generalizzò tanto che l'i spezzato scomparve dappertutto, benchè i singoli comuni mantenessero l's nella forma di Manche presso l'i spezzato.
3° Più recente è la sostituzione del λΓ facile a scambiarsi con Γγ per mezzo del segno ν che incontriamo in Atene e Beozia, mentre Corinto e i comuni dipendenti da Corinto raggiunsero lo stesso scopo dando al γ la forma semicircolare C invece della forma uncinata.
4° Lo scambio, pure molto facile, delle forme p P ed r P fu evitato dalla trasformazione del secondo in R, la quale forma più recente rimase straniera solo ai Greci dell'Asia minore, ai Cretesi, agli Achei italici, ed a poche altre regioni, ed è invece prevalente nella Magna Grecia e in Sicilia. Pure la più antica forma dell'r P non è scomparsa qui così presto e così compiutamente come la più antica forma dell'l; quindi questa innovazione vi ebbe luogo certamente più tardi.
La differenziazione dell'e lungo e breve e dell'o lungo e breve fu limitata, nei tempi più antichi, ai Greci dell'Asia minore, e a quelli delle isole del mare Egeo. Tutti questi miglioramenti tecnici sono in un certo modo di egual natura e di eguale valore storico, giacchè ciascuno di essi è sorto in un determinato tempo e in un determinato luogo, e ciascuno ha preso la sua propria via di diffusione e il suo speciale sviluppo. L'eccellente indagine di Kirchoff, Studi per la storia dell'alfabeto greco, la quale ha gettato una chiara luce sulla storia fino allora così oscura dell'alfabeto ellenico, ed ha pure stabilito alcuni dati essenziali per le più antiche relazioni fra gli Elleni e gli Italici, determinando in modo inconfutabile la patria, fino allora incerta, dell'alfabeto etrusco, è pure in un certo modo unilaterale in quanto che dà troppo peso ad una di queste proposte. Se qui dovessimo separare i sistemi, non dovremmo dividere gli alfabeti secondo il valore dell'X come ξ oppure come χ in due classi, ma si dovrebbe distinguere un alfabeto di ventitrè e uno di venticinque o ventisei lettere, e forse in quest'ultimo anche l'anatolico-jonico, dal quale è sorto più tardi l'alfabeto comune, e il greco volgare del tempo più antico. Piuttosto nell'alfabeto le singole regioni si sono mantenute di fronte alle varie proposte di modificazione, sempre essenzialmente eclettiche, e l'una proposta fu accolta qui e l'altra là.
Nello stesso modo la storia dell'alfabeto greco è ricca d'insegnamento poichè mostra come, nei mestieri e nell'arte, alcuni gruppi delle regioni greche si scambiarono le innovazioni, mentre altre non avevano fra loro simili rapporti. Per ciò che concerne particolarmente l'Italia abbiamo già accennato al meraviglioso contrapposto delle città agricole achee verso le colonie piuttosto mercantili calcidiche e doriche; in quelle si conservano assolutamente le forme primitive, in queste si accettano le forme migliorate, anche quelle che venendo da parti diverse si contraddicono in certo modo come il C γ – presso al V l.
Gli alfabeti italici derivano, come il Kirchoff ha dimostrato, assolutamente dall'alfabeto dei Greci-italici, ed anzi dal calcidico-dorico; ma specialmente la diversa forma dell'r mette fuor di dubbio che gli Etruschi e i Latini non ricevettero l'alfabeto gli uni dagli altri, ma entrambi l'ebbero dai Greci. Poichè, mentre nelle quattro già accennate modificazioni dell'alfabeto che riguardano specialmente i Greco-italici, (la quinta fu limitata all'Asia minore), le tre prime erano già eseguite prima che l'alfabeto passasse agli Etruschi e ai Latini, e la differenziazione del p e dell'r non aveva ancora avuto luogo quando esso giunse in Etruria, ma questa differenziazione era almeno già cominciata quando i Latini ricevettero l'alfabeto, per cui gli Etruschi non conoscono affatto la forma R per r, ma presso i Falisci ed i Latini, fatta eccezione per il vaso Dressel, si incontra sempre la forma più recente.