12. I pompeiani in Spagna.
Cesare si affrettò a ricominciare la guerra. Egli andava debitore dei successi fino allora ottenuti alla presa offensiva ed intendeva di attenervisi. La posizione del suo avversario era singolare.
Dopo che per l'attacco fatto da Cesare era andato fallito il piano originario di Pompeo di procedere all'offensiva contemporaneamente nelle due Gallie partendo dall'Italia e dalla Spagna, Pompeo aveva intenzione di recarsi in quest'ultima provincia dove egli aveva una fortissima posizione. L'esercito là stanziato si componeva di sette legioni; in esse si trovavano molti veterani di Pompeo e le lunghissime piccole guerre nelle montagne della Lusitania avevano agguerrito soldati ed ufficiali.
È vero che fra i condottieri Marco Varrone non era che un celebre letterato ed un fedele partigiano; ma Lucio Afranio aveva combattuto con distinzione in oriente e sulle Alpi e Marco Preteio, il vincitore di Catilina, era un ufficiale pieno di talento e di coraggio. Se Cesare aveva un partito nella Spagna ulteriore sin dal tempo della sua luogotenenza, invece la più importante provincia dell'Ebro era devota con tutti i vincoli della venerazione e della riconoscenza al famoso generale, il quale vent'anni prima vi aveva avuto il comando della guerra sertoriana e, finita questa, vi aveva organizzato il paese.
Dopo la catastrofe toccatagli in Italia, Pompeo nulla poteva fare di meglio che recarsi colà cogli avanzi dell'esercito, e alla testa di tutte le sue forze affrontare Cesare. Ma per sua sventura egli si era fermato nell'Apulia sperando di poter ancora salvare le truppe stanziate in Corfinio, tanto che per effettuare l'imbarco, invece dei porti della Campania fu costretto a scegliere quello più vicino di Brindisi.
Non sappiamo perchè egli, padrone del mare e della Sicilia, non ritornasse più tardi al piano originario; forse l'aristocrazia nella sua cecità e diffidenza non avrà voluto fidarsi della truppa e della popolazione spagnuola; il fatto è che Pompeo rimase in oriente e che Cesare ebbe la scelta di operare il primo attacco o contro l'esercito che si andava organizzando in Grecia sotto il comando di Pompeo, o contro quello dei suoi luogotenenti stanziati in Spagna e pronti ad entrare in campagna.
Cesare si era deciso per quest'ultimo, e appena terminata la campagna d'Italia aveva deciso che si contassero sulle sponde del basso Rodano nove delle sue migliori legioni, oltre 6000 cavalieri, parte scelti individualmente da Cesare nei cantoni celtici, parte mercenari germanici e un gran numero di frombolieri iberi e liguri.
Ma appunto sul basso Rodano erano stati attivi anche i suoi avversari. Lucio Domizio, nominato dal senato luogotenente della Gallia transalpina al posto di Cesare, appena fu da lui lasciato libero, partendo da Corfinio si era recato colla marmaglia che aveva al suo comando, con Lucio Vibullio Rufo, uomo di confidenza di Pompeo, a Massalia, ed era riuscito a decidere la città in favore di Pompeo, e persino a far negare il passaggio alle truppe di Cesare.
Delle truppe spagnuole le due legioni meno fidate rimasero nella provincia ulteriore sotto gli ordini di Varrone, mentre le cinque migliori, rinforzate da 4000 fanti spagnuoli, parte fanteria di linea celtiberica, parte lusitana ed altra leggiera, e da 5000 cavalieri spagnuoli sotto il comando di Afranio e di Petreio, dietro ordine di Pompeo, loro pervenuto col mezzo di Vibullio, si erano messe in marcia per chiudere al nemico i passi dei Pirenei.
Intanto Cesare stesso arrivò nella Gallia ed essendo trattenuto dalle disposizioni per l'assedio di Massalia, fece subito partire la maggior parte delle sue truppe raccolte sulle rive del Rodano, sei legioni e la cavalleria, per la grande strada che da Narbona conduceva a Rhode (Rosas), per prevenire l'arrivo dei nemici ai Pirenei. Ciò riuscì; quando Afranio e Petreio vi arrivarono, trovarono i passi già occupati dalle truppe di Cesare, e la linea dei Pirenei per loro perduta.
Essi presero una posizione fra i Pirenei e l'Ebro presso Ilerda (Lerida). Questa città è posta a quattro leghe dall'Ebro verso settentrione, sulla sponda destra del suo confluente Sicori (Segre), oltre il quale metteva un ponte fisso immediatamente presso Lerida. A mezzogiorno ne distano di poco i monti, che servono di sponda sinistra al fiume Ebro; dalle due parti del Sicori si estende verso settentrione la bella pianura dominata dal colle su cui è costruita la città.
Era questa una magnifica posizione per un esercito che avesse dovuto lasciarsi assediare; ma la difesa della Spagna, che dopo l'occupazione della linea dei Pirenei era andata fallita, non poteva intraprendersi che dietro l'Ebro, e non esistendo una stabile comunicazione tra Ilerda e l'Ebro, nè essendovi ponte su questo fiume, la ritirata da questa provvisoria posizione alla vera linea di difesa, non era sicura abbastanza.
Le truppe di Cesare si fortificarono al di sopra di Lerida nel delta formato dal fiume Sicori col suo confluente Cinga (Cinca) al disotto di Ilerda; ma le cose presero un aspetto più serio soltanto dopo che Cesare fu arrivato al campo (23 giugno). Sotto le mura della città si combattè da ambo le parti con pari accanimento, con eguale valore e con vario successo; ma le truppe di Cesare non raggiunsero lo scopo, di porsi tra il campo dei pompeiani e la città e d'impossessarsi così del ponte di pietra, e per mantenere le loro comunicazioni colla Gallia esse furono costrette a gettare due ponti sul Sicori, i quali, essendo prossima Lerida e perchè non riuscisse troppo imponente una simile operazione, furono gettati in tutta fretta superiormente alla città, alla distanza di quattro o cinque leghe.