16. Caduta di Gracco.
Pare che questo successo abbia dato animo al senato di tentare di far cadere il vittorioso demagogo.
Le armi erano essenzialmente quelle stesse di cui lo stesso Gracco si era servito. La forza di Gracco si fondava sui mercanti e sui proletari, su questi ultimi specialmente, i quali in questa lotta, in cui da ambo le parti non v'era appoggio militare, facevano quasi le veci dell'esercito.
Era evidente che il senato non era abbastanza forte per togliere con la forza ai mercanti e ai proletari i loro nuovi diritti; ogni tentativo diretto contro le leggi frumentarie od il nuovo ordinamento dei giurati avrebbe suscitato dei moti popolari più o meno tumultuosi, contro i quali il senato si trovava completamente inerme.
Ma non era meno evidente, che solo il comune interesse univa strettamente Gracco stesso e questi mercanti e proletari, e che tanto quelli quanto la plebe propriamente detta, erano disposti ad accettare gli impieghi ed il grano da Caio Gracco come da qualunque altro.
Le istituzioni di Gracco, almeno per allora, si mantenevano salde, ad eccezione d'una sola: il suo proprio supremo potere. La debolezza di questo consisteva nella mancanza di un vincolo di fedeltà tra il capo dello stato e l'esercito. Nella nuova costituzione esistevano bensì tutti gli altri elementi di vita meno uno: il legame morale tra il dominatore e i dominati, senza cui ogni stato poggia sopra piedi d'argilla.
Allorchè fu respinta la proposta di accogliere i Latini nel numero dei cittadini, si scoprì con dolorosa evidenza che la moltitudine non aveva mai votato per Gracco, ma sempre e solo per sè stessa; l'aristocrazia pensò di offrir battaglia all'autore della distribuzione del grano e delle assegnazioni delle terre sul suo proprio terreno.
Già s'intende che il senato offrì al proletariato non solo il grano e ogni altra cosa che Gracco gli aveva assicurato, ma più ancora. Per ordine del senato il tribuno del popolo Marco Livio Druso fece la proposta di bonificare ai detentori dei beni assegnati da Gracco l'imposto censo e di dichiarare le terre loro assegnate libere ed alienabili; fu inoltre stabilito di provvedere alla sorte del proletariato fondando, piuttosto che nei paesi oltremarini, dodici colonie in Italia, composta ciascuna di 3000 coloni, e per realizzare questa divisione fu invitato il popolo a scegliere gli uomini di sua fiducia; il solo Druso – in opposizione al collegio di famiglia dei Gracchi – rinunziò a qualsiasi parte in questa onorevole opera.
Le spese di questo progetto dovevano essere probabilmente sostenute dai Latini, essendo essi i soli in Italia che avessero occupato beni demaniali di qualche estensione.
Troviamo inoltre alcune disposizioni di Druso dirette a indennizzare i Latini di altre perdite e la prescrizione che solo l'ufficiale superiore latino e non l'ufficiale romano, potesse condannare alle bastonate il soldato latino.
Il disegno non era dei più abili. La congiura era troppo manifesta, troppo evidente lo studio di stringere vieppiù il bel legame che univa la nobiltà al proletariato tiranneggiando maggiormente di comune accordo i Latini. Era troppo naturale che ci si domandasse dove trovare nella penisola – essendo i beni demaniali italici per la maggior parte suddivisi, e anche confiscando tutte le terre ai Latini – il terreno demaniale da ripartirsi tra le dodici numerose e isolate colonie nuovamente costituite; e finalmente la dichiarazione di Druso, di non voler egli impicciarsi nell'esecuzione della sua legge, era così maledettamente furba da parere addirittura stupida.
Pure, per quella goffa belva che si voleva acchiappare, bastava quel laccio grossolano. A ciò si aggiunga la circostanza, forse decisiva, che Gracco, dalla cui personale influenza tutto dipendeva, stava appunto allora in Africa, intento a fondare la colonia cartaginese, e che il suo luogotenente nella capitale, Marco Flacco, coi suoi modi impetuosi e inabili faceva il gioco dei suoi avversari.
Il «popolo», come prima aveva fatto delle sempronie, ratificò di buon grado le leggi livie. Esso ricompensò poi, come era uso di fare, il nuovo benefattore, assestando al precedente un moderato calcio e rifiutandogli i voti allorchè per la terza volta sollecitò il tribunato pel 633 = 121; ma pare che a ciò contribuisse la vendetta del tribuno dirigente l'elezione che era stato in passato offeso da Gracco.
Così fu scossa la base della sua potenza. Ed un secondo colpo lo ricevette in occasione delle elezioni consolari, che non solo riuscirono in generale contrarie alla democrazia, ma misero addirittura alla testa dello stato Lucio Opimio, l'uomo che da pretore nel 629 = 125 aveva conquistato Fregelle, uno dei più caldi e meno timidi capi dell'austero partito dei nobili e fermamente deciso ad allontanare alla prima occasione il pericoloso rivale.
Nè l'occasione si fece lungamente aspettare.