16. L'opposizione romana.
Se l'estenuato organismo della provincia romana fosse stato ancora capace di una reazione salutare, questa avrebbe dovuto manifestarsi ora; chè, per uno di quei meravigliosi accidenti della fortuna, di cui la storia romana è così abbondante, il pericolo era abbastanza prossimo da destare tutta l'energia e tutto il patriottismo dei cittadini; eppure non si presentava così improvvisamente da non lasciare campo di sviluppare tali forze.
Ma null'altro si ebbe a verificare che la ripetizione di quegli stessi fenomeni, che si erano notati quattro anni prima, dopo le sconfitte africane.
E difatti i rovesci africani e gallici erano essenzialmente della stessa natura. Può essere che quelli in particolare si dovessero in complesso all'oligarchia e questi piuttosto a singoli magistrati; ma l'opinione pubblica vedeva con ragione negli uni e negli altri, prima di tutto, un vero fallimento del governo, che nel suo continuo sviluppo metteva in pericolo prima l'onore dello stato ed ora persino la sua esistenza.
Nè allora nè adesso non si errava nell'assegnare al male la sua vera origine; ma nè allora nè adesso non si tentò nemmeno di rimediare nel punto ove il male esisteva. Si sapeva bene che la colpa era del sistema; ma questa volta ancora non si fece altro che mettere in stato di accusa alcuni individui – solo che naturalmente questo secondo turbine si rovesciò sui capi dell'oligarchia con tanto maggiore impeto, quanto più estesa e più pericolosa di quella del 645 = 109 fu la catastrofe del 649 = 105.
Il senso istintivamente sicuro della pubblica opinione, che per abbattere l'oligarchia non v'era altro mezzo che la tirannide, si mostrò nuovamente nel sostenere spontaneamente ogni tentativo che fosse fatto da valenti ufficiali per impossessarsi del timone dello stato e rovesciare il governo oligarchico nominando un dittatore.
Il primo contro cui si scagliarono gli attacchi fu Quinto Cepione e con ragione, anche prescindendo dall'accusa apparentemente fondata ma non provata, che egli si fosse impadronito del bottino tolosano, giacchè la sconfitta toccata presso Arausio fu in gran parte causata dalla sua insubordinazione; e ad accrescere il furore di cui era animato contro di lui il partito dell'opposizione, concorse la circostanza che, essendo lui console, aveva tentato di spogliare i capitalisti del loro ufficio di giurati.
Per essi era stata infranta l'antica veneranda massima di onorare anche nel vaso più immondo la santità della carica e mentre si era risparmiato il biasimo all'autore della catastrofe di Canne, l'autore della sconfitta toccata ad Arausio fu dimesso incostituzionalmente con un plebiscito dalla sua carica di proconsole e – cosa che dal tempo delle crisi che avevano fatto cadere la monarchia non era più avvenuta – i suoi beni furono confiscati a vantaggio del pubblico erario (649 = 105).
Non andò molto che con un secondo plebiscito egli fu espulso dal senato (650 = 104). Ma questo non bastò; si volevano parecchie vittime e soprattutto il sangue di Cepione.
Alcuni tribuni del popolo appartenenti al partito dell'opposizione, con Lucio Appuleio Saturnino e Caio Norbano alla testa, proposero nel 651 = 103 l'istituzione di un tribunale eccezionale per investigare sulla sottrazione del bottino tolosano e per scoprire i traditori della patria. Nonostante l'abolizione dell'arresto personale durante l'istruzione e della pena di morte per delitti politici, Cepione fu imprigionato e si manifestò chiaramente l'intenzione di pronunciare ed eseguire contro di lui la condanna di morte.
Il partito del governo tentò con l'intercessione dei tribuni di far soprassedere alla proposta, ma quei tribuni furono scacciati dall'assemblea con la violenza e nell'impeto della sollevazione i primi uomini del senato furono presi a sassate.
Non si potè impedire l'inchiesta e nel 651 = 103 la guerra coi processi incominciò come sei anni prima; Cepione, il suo collega nel comando supremo Gneo Manlio Massimo e parecchi altri distinti personaggi furono condannati; a stento un tribuno del popolo, amico di Cepione, col sacrificio della propria esistenza politica, riuscì a salvare almeno la vita dell'accusato principale[15].