8. Timeo.
Egli ci vien narrando come Enea fondasse prima Lavinio e vi ponesse la sede dei penati d'Ilio, e poscia edificasse Roma; egli deve anche avere innestata l'Elisa di Tiro e la Didone della leggenda d'Enea, giacchè secondo lui Didone fu la fondatrice di Cartagine, e Roma e Cartagine furono fondate nello stesso anno. Queste supposizioni storiche furono ispirate non solo dagli avvenimenti che si andavano predisponendo appunto nel tempo e nel luogo ove Timeo stava scrivendo, ma senza dubbio anche da relazioni pervenute in Sicilia sui costumi e sugli usi dei Latini; le quali, però, non possono credersi derivate dal Lazio, ma saranno state probabilmente il frutto delle sciocche invenzioni dei vecchi raccoglitori di rapsodie.
Timeo aveva forse udito raccontare dell'antichissimo tempio degli dei domestici in Lavinio; ma che queste divinità fossero considerate dai Laviniesi come i penati che gli Eneidi vi avessero recato da Ilio, non può essere che una aggiunta di Timeo, come certo è di sua creazione l'arguto riscontro del cavallo ottobrino dei Romani e del cavallo troiano, non meno che l'esatto inventario delle reliquie di Lavinio; le quali, secondo un così debole testimonio erano mazze di ferro e di rame da araldo ed un vaso di terra, proprio di fabbrica troiana.
È ben vero che nessuno mai riuscì a vedere queste reliquie, ma Timeo era uno di quegli storici che di nulla sanno dare così precisa ragione quanto di ciò che non si conosce. E non a torto ci ammonì Polibio, il quale conosceva l'uomo, di non prestargli fede in nulla, e meno ancora quando mostra di appoggiare le proprie asserzioni, come in questo caso, su documenti autentici.
Questo retore siciliano, che seppe indicare la tomba di Tucidide in Italia e non seppe trovare per Alessandro nessuna più alta lode di quella che egli fosse venuto a capo delle sue imprese nell'Asia più presto che Isocrate del suo «panegirico», fu precisamente l'uomo fatto apposta per impastare, all'ombra dell'ingenua poesia primitiva, questa miscela; a cui il caso dette poi una così strana celebrità.
Non può però accertarsi che le favole elleniche sulle origini latine siano penetrate subito in Italia, come si erano rapidamente diffuse in Sicilia. Pare che già fino da questi tempi vi si fossero divulgate le leggende che si ricollegavano al ciclo odisseo, e che più tardi troviamo nella storia della fondazione di varie città latine, come Tuscolo, Preneste, Anzio, Ardea, Cortona; e che la persuasione, che i Romani discendessero da Troiani o da Troiane, doveva essere già verso la fine di questo periodo storico radicata in Roma, giacchè le prime relazioni accettate tra Roma e l'oriente greco cominciarono coll'intercessione del senato a favore degli «affini» abitanti d'Ilio, il qual caso avvenne l'anno 472 = 282.
Nondimeno abbiamo la prova che la leggenda d'Enea non è in Italia molto antica, nel fatto che gli avvenimenti in essa riferiti sono, senza confronto, meno localizzati di quelli dell'Odissea. Ad ogni modo poi, tanto la compilazione ultima della leggenda, come l'assestamento di essa con la tradizione indigena romana intorno alle origini delle città non ebbe luogo che nelle età posteriori a quella di cui ora trattiamo.
Mentre pertanto tra i Greci la storiografia, o ciò che allora si poteva chiamare storiografia, metteva ogni studio per costruire una preistoria italica, essa non prestava quasi alcuna attenzione agli avvenimenti contemporanei, che si compivano nella penisola, ciò che ci dà una singolare prova dell'affievolimento del senso politico fra i Greci e che ci priva d'un sussidio storico su cui avremmo potuto contare.
Teopompo da Chio (chiuse la sua storia nel 418 = 336) fa appena menzione della presa di Roma per mano dei Celti, e Aristotile, Clitarco, Teofrasto, Eraclito da Ponto (morto verso l'anno 450 = 304) toccano non più che di passaggio alcuni fatti riguardanti Roma; soltanto con Geronimo da Cardia, il quale come storiografo di Pirro descrive anche le sue guerre in Italia, la storiografia greca diviene una sorgente anche per la storia romana.