22. Guerra contro Nabida di Sparta.
Ma dopo parecchi tentativi fatti per decidere Nabida ad arrendersi, e particolarmente a restituire la città federale achea di Argo, cedutagli da Filippo, a Flaminino non rimaneva altro mezzo se non quello di far dichiarare, in una grande assemblea in Corinto, la guerra da tutti gli Elleni a questo ostinato filibustiere, il quale, facendo assegnamento sul noto rancore che esisteva tra gli Etoli e i Romani, e sulla venuta d'Antioco in Europa, si rifiutava costantemente di restituire Argo.
Fu pure deciso di portarsi nel Peloponneso colla flotta e coll'esercito romano federale, nel quale si trovavano anche un contingente inviato da Filippo, ed un distaccamento di emigrati lacedemoni condotti da Agesipoli, legittimo re di Sparta (559=195).
Per schiacciare immediatamente con forze superiori l'avversario, si chiamarono sotto le armi non meno di 50.000 uomini, e, trascurando le altre città, fu subito investita la capitale stessa; ma ciò non ostante non si raggiunse lo scopo desiderato.
Nabida aveva messo in campo un ragguardevole esercito ammontante a 15.000 uomini, 5.000 dei quali erano mercenari, ed aveva nuovamente consolidata la sua signoria con un vero terrorismo, facendo mettere a morte in massa tutti gli ufficiali ed abitanti del territorio che gli fossero sospetti.
E quando, dopo i primi successi dell'esercito e della flotta dei Romani, egli stesso si decise a cedere e ad accettare le condizioni relativamente vantaggiose offertegli da Flaminino, «il popolo» cioè la massa dei predoni a cui Nabida aveva accordato domicilio in Sparta, temendo, e non a torto, che alla vittoria seguisse il giudizio, e tratto in errore dalle solite menzogne sulla natura delle condizioni di pace e sull'appressarsi degli Etoli e degli Asiatici, respinse la pace offertagli dal generale romano e ricominciò la lotta.
Si venne a battaglia sotto le mura della città, a cui fu dato l'assalto; era questo già riuscito, allorchè il fuoco appiccato nelle contrade espugnate costrinse i Romani a ritirarsi. Finalmente però l'ostinata resistenza fu vinta.
Sparta conservò la sua indipendenza e non fu obbligata nè a riammettere gli emigrati entro le sue mura, nè ad accedere alla lega achea; fu lasciata intatta persino la vigente costituzione monarchica, e Nabida stesso rimase al suo posto.
Ma egli dovette però cedere i suoi possedimenti esterni, Argo, Messene, le città cretesi e tutta la costa; dovette obbligarsi a non stringere leghe coll'estero e a non intraprendere guerra, a non tenere altre navi che due vascelli scoperti, a riconsegnare finalmente tutte le prede da lui fatte, a dare ostaggi ai Romani ed a pagare una contribuzione di guerra.
Le città poste sulla costa della Laconia furono assegnate agli emigrati spartani, ed a questo nuovo comune popolare, che per antitesi agli Spartani retti monarchicamente si chiamò dei «liberi Laconi», fu imposto di entrare nella lega achea.
Gli emigrati non riebbero i loro beni, considerandoli compensati col paese loro assegnato; fu però stabilito che le loro mogli e i loro figli non dovessero essere trattenuti in Sparta contro la loro volontà.
Sebbene gli Ateniesi, per tali disposizioni, acquistassero con Argo anche i «liberi Laconi», pure erano poco contenti; essi si attendevano di vedere allontanato il temuto ed odiato Nabida, ricondotti gli emigrati ed allargata la simmachia achea su tutto il Peloponneso. Gli uomini imparziali riconosceranno certamente che Flaminino risolse queste difficili vertenze con quella equità e giustizia che era possibile trattandosi di due partiti politici irragionevoli ed ingiusti.
Considerato l'antico e profondo rancore esistente fra gli Spartani e gli Achei, l'aggregazione di Sparta alla lega avrebbe significato una sottomissione degli Spartani agli Achei, e ciò sarebbe stato non meno contrario all'equità che alla prudenza.
Ricondurre gli emigrati, e restaurare completamente un governo cessato già da vent'anni, non avrebbe fatto altro che sostituire un governo di terrore ad un altro; la via di mezzo adottata da Flaminino era quindi la giusta, appunto perchè non soddisfaceva i due partiti estremi.
Finalmente sembrava che fosse stata radicalmente estirpata la pirateria spartana e che questo governo, appunto come era, non potesse riuscire molesto che al proprio comune.
È possibile che Flaminino, il quale conosceva Nabida e doveva sapere quanto fosse desiderabile il suo allontanamento, si astenesse da questo passo solo per arrivare alla fine dell'impresa e per non turbare con incalcolabili e continuati impacci la schietta impressione dei suoi successi; è anche possibile, che egli si studiasse di mantenere con Sparta un contrappeso alla potenza della lega achea nel Peloponneso. Senonchè la prima supposizione riguarda un punto di secondaria importanza, e quanto alla seconda è poco verosimile che i Romani scendessero a temere gli Achei.