26. Gli Ebrei.
Il suo regno rassomigliava più ad una riunione di stati che ad un solo stato, e la diversità della nazionalità e delle religioni dei sudditi procurava al governo le più grandi difficoltà; così il disegno di introdurre dappertutto nei suoi paesi culto e costumi elleno-romani e quello di ridurre tutti i suoi popoli in uno solo, rispetto alla politica e alla religione, era, riflettendo bene, in ogni modo una stoltezza, anche fatta astrazione da ciò che questa caricatura di Giuseppe II era tutt'altro che all'altezza di tale gigantesca impresa, e che diede principio alle sue riforme nel modo peggiore, saccheggiando i templi e perseguitando ferocemente i seguaci degli altri culti.
Ne venne che gli abitanti della provincia limitrofa verso l'Egitto, i Giudei, popolo d'ordinario arrendevole sino all'umiliazione ed estremamente attivo ed industrioso, furono spinti ad un'aperta sollevazione dalla sistematica persecuzione religiosa (verso il 588 = 167). La cosa fu portata davanti al senato; e questi appunto allora irritato contro Demetrio Sotero, temendo che si stringesse alleanza fra gli Attalidi ed i Seleucidi, e ritenendo in generale utile per Roma che una potenza minore si fondasse tra la Siria e l'Egitto, concesse subito la libertà e l'autonomia alla nazione insorta (verso il 593 = 161).
Ma Roma si diede solo tanto pensiero dei Giudei, quanto poteva senza incomodo per sè stessa; nonostante la clausola contenuta nel trattato esistente tra essi e i Romani, colla quale, occorrendo, era promessa ai medesimi assistenza dai Romani e nonostante il divieto ai re della Siria e dell'Egitto di far passare le loro truppe per la Giudea, fu a loro stessi lasciata la cura di difendersi contro i re della Siria.
Più delle pergamene dei loro potenti alleati giovò loro la coraggiosa ed assennata direzione del moto assunta dall'eroica schiatta dei Maccabei, e le guerre intestine del regno siriaco; durante le contese dei re siriaci Trifone e Demetrio Nicatore, ai Giudei si concesse formalmente l'autonomia (612 = 142) e subito dopo fu riconosciuto dalla nazione e dal gran re della Siria il capo della famiglia dei Maccabei, Simone, figlio di Matatia, come sommo sacerdote e principe d'Israele (615 = 139)[19].