5 . Cartagine.
In Africa la politica dei Romani si riduceva all'unico e meschino pensiero d'impedire il risorgimento della potenza cartaginese mantenendo l'infelice città sotto l'incubo e sotto la spada di Damocle d'una dichiarazione di guerra.
La disposizione del trattato di pace che garantiva, è vero, ai Cartaginesi l'integrità del loro territorio, ma al tempo stesso assicurava al loro vicino Massinissa tutto il territorio, ch'egli o il suo predecessore avessero posseduto entro i confini cartaginesi, sembrava fatta apposta per far sorgere dissidi e non già per evitarli.
Lo stesso dicasi dell'obbligo imposto ai Cartaginesi dal trattato di non muovere guerra agli alleati dei Romani; così che essi non erano nemmeno padroni di cacciare dal territorio, che incontestabilmente loro apparteneva, il loro vicino numidico.
Con tali trattati e la nessuna sicurezza in materia di confini che esisteva nell'Africa in generale, la situazione di Cartagine, al cospetto di un vicino tanto forte quanto alieno d'ogni riguardo, e d'un padrone ch'era giudice e parte ad un tempo, non poteva non essere penosissima; ma la realtà era peggiore ancora di ogni peggiore aspettativa.
Già nel 561=193 Cartagine si vide assalita per frivoli pretesti, ed ebbe la provincia d'Emporia sulla piccola Sirte, la parte più ricca del suo territorio, saccheggiata e in parte occupata dai Numidi.
Le usurpazioni andarono sempre più aumentando e i Cartaginesi poterono con fatica mantenersi nelle località maggiori.
Essi dichiararono nel 582=172 che solamente negli ultimi due anni erano stati tolti loro, in violazione del trattato, altri sessanta villaggi.
Si spedivano a Roma ambasciate sopra ambasciate; i Cartaginesi scongiuravano il senato romano o di permettere loro di difendersi colle armi, o di nominare un tribunale di arbitri colla facoltà di pronunciare il suo giudizio, o di regolare di nuovo i confini per conoscere una volta per sempre quali dovessero essere le loro perdite; diversamente valeva molto meglio dichiararli addirittura sudditi romani che abbandonarli a poco a poco in balìa dei Libi.
Ma il governo romano, che sino dal 554=200 aveva fatto sperare al suo cliente (e come ben si comprende a spese di Cartagine) un allargamento di territorio, non sembrava disposto ad opporsi a che egli si appropriasse la preda che gli era destinata; esso frenava talvolta la eccessiva violenza dei Libi, i quali rendevano ora esuberantemente la pariglia ai loro antichi tormentatori, ma in sostanza i Romani avevano assegnato Massinissa per vicino a Cartagine appunto per queste vessazioni.
Tutte le preghiere e tutte le lagnanze ebbero per risultato o l'arrivo in Africa di commissioni inviatevi dai Romani, le quali dopo profonde investigazioni nulla decidevano, o di vedere continuamente procrastinata la decisione delle trattative intavolate a Roma adducendo i plenipotenziari di Massinissa il pretesto di non avere le necessarie istruzioni.
Ci voleva soltanto la pazienza dei Cartaginesi per sopportare una simile posizione non solo, ma per prestarsi anche con impareggiabile perseveranza ad ogni servizio e ad ogni favore richiesto e non richiesto dai dominatori, per procacciarsene la protezione, particolarmente con frequenti spedizioni di grano.