13. Governo monarchico in regime senatorio.
Con le armi –il proletariato e il ceto mercantile – così predisposte – Caio Gracco intraprese la sua grande opera: l'abbattimento dell'aristocrazia dominante.
Abbattere il senato significava da un lato togliergli l'essenziale sua competenza per mezzo di legali innovazioni, dall'altro atterrare l'esistente aristocrazia con misure più personali e transitorie. Gracco fece l'uno e l'altro.
Il governo sino allora aveva appartenuto esclusivamente al senato; prima di tutto Gracco glielo tolse facendo in parte decidere le più importanti questioni amministrative per mezzo di leggi comiziali, che è quanto dire da decisioni arbitrarie tribunizie, in parte limitando possibilmente il potere del senato agli affari della giornata, e in parte avocandone a sè il maggior numero.
Le misure della prima specie sono già state accennate; il nuovo padrone dello stato disponeva del pubblico tesoro senza chiederne la facoltà al senato, caricando con la distribuzione del grano le pubbliche finanze d'un peso durevole e oppressivo; disponendo dei beni demaniali; istituendo colonie non già come si era praticato fino allora per senatoconsulti, ma per plebisciti; dell'amministrazione provinciale abolendo con un plebiscito la legge sulle imposte data dal senato alla provincia d'Asia, e sostituendovi una legge del tutto diversa.
Uno dei più importanti uffici ordinari del senato, il libero assegnamento delle attribuzioni dei due consoli, non gli fu tolto ma venne impedita l'indiretta pressione che si esercitava per tal modo sui supremi magistrati, obbligando il senato a fissare le attribuzioni dei consoli prima della loro elezione. Con un'attività senza pari finalmente Caio concentrò nelle sue mani i più differenti e intricati affari amministrativi; egli stesso sorvegliava la distribuzione del grano, eleggeva i giurati, fondava personalmente le colonie quantunque la sua carica lo tenesse inchiodato nella capitale, regolava le costruzioni stradali e ne stipulava i contratti, dirigeva i lavori del senato, determinava l'elezione dei consoli; in breve egli aveva abituato il popolo a riconoscere a capo di ogni cosa un uomo, e coll'energico e spedito suo governo personale eclissò la debole e paralizzata amministrazione del collegio senatorio.
Ancora più energicamente che nel ramo amministrativo si immischiò Caio Gracco nella giurisdizione senatoria. Abbiamo già narrato come egli togliesse ai senatori l'ordinaria giurisdizione; lo stesso avvenne della giurisdizione che il senato, quale suprema autorità governativa, si permetteva di esercitare in casi eccezionali.
Trattandosi di infliggere una pena severa, Caio, come appare dalla rinnovata legge sulla provocazione[7], vietò per senatoconsulto la nomina di commissioni speciali per giudicare delitti di alto tradimento, come era stata quella istituita dopo l'uccisione di suo fratello per giudicare i partigiani. Ne derivò da queste misure, che il senato perdette interamente la sopraintendenza e non conservò dell'amministrazione che quella parte che il capo dello stato aveva creduto di lasciargli.
Ma queste misure costituzionali non bastavano; fu assalita direttamente anche la reggente aristocrazia. Non fu che un atto di vendetta quello di dare forza retroattiva alla legge or ora menzionata, per cui l'aristocratico Publio Popilio, che dopo la morte di Nasica fu particolarmente colpito dall'odio dei democratici, si vide costretto ad abbandonare il paese.
Merita di essere rilevato il fatto, che questa proposta passò nell'assemblea delle tribù per un solo voto, 18 contro 17; è questa una prova dell'influenza dell'aristocrazia sulle masse, per lo meno nelle questioni d'interesse personale.
Un atto simile, ma assai meno giustificabile, cioè la proposta in odio di Marco Ottavio, che colui il quale avesse perduta la sua carica a seguito d'un plebiscito, dovesse per sempre essere escluso dai pubblici impieghi, fu da Caio ritirata su preghiera di sua madre, risparmiandosi con ciò l'onta di vendicarsi bassamente d'un uomo d'onore, che non aveva pronunciato una parola contro Tiberio e agito soltanto conforme alla costituzione come egli la intendeva e come gli dettava la coscienza, nonchè quella di farsi beffe del diritto sanzionando una manifesta violazione dello statuto.
Ma di tutt'altra importanza che non queste misure e certo di difficile esecuzione era il piano di Caio di rinforzare cioè il senato con 300 nuovi membri, vale a dire con circa altrettanti di quelli di cui ora si componeva, e di farli eleggere dai comizi nella classe dei cavalieri: una infornata di pari, nel più largo senso, che avrebbe ridotto il senato nella più perfetta dipendenza dal capo supremo dello stato.