NONO CAPITOLO
ARTE E SCIENZA
1. Festa popolare romana.
I progressi delle arti, e specialmente della poesia, nell'evo antico, vanno quasi per necessità di pari passo con i progressi delle pubbliche solennità. La festa straordinaria, colla quale Roma soleva render grazie agli dei, ordinata fin da principio ad imitazione dei Greci, e nota sotto il nome di «giuochi romani», o «giuochi massimi» crebbe in questo secolo a maggiore onore per durata e per varietà di spettacoli.
In origine le feste non duravano più di un giorno, ma ad ogni grande avvenimento prosperamente compiuto per la repubblica, si prolungarono di un giorno, come occorse negli anni 254 = 500, 260 = 494, 387 = 367, onde ai tempi di cui ora si parla la festa durava quattro giorni[1]. Ne crebbe anche l'importanza, giacchè gli edili curuli (387 = 367), fin dalla loro istituzione, ebbero l'incarico di pensare agli apprestamenti e alla sorveglianza, e con ciò essa non venne più riguardata come una festa speciale, celebrata per voto d'un capitano in memoria d'un particolare avvenimento, ma prese posto tra le ordinarie solennità annuali. Nondimeno il governo non permise mai che lo spettacolo principale, chiamato per antonomasia lo spettacolo, e cioè la corsa delle bighe, si celebrasse più d'una volta: questo era; anzi, lo spettacolo di chiusura.
Negli altri giorni il popolo poteva spassarsi a piacimento nè certo saranno mancati, per prezzo o per diletto, i suonatori, i ballerini, i funamboli, i cantastorie ed i giullari.