5. Pompeo e Lucullo.
Nella primavera del 688 = 66 Pompeo si portò nella Galazia per assumere il supremo comando delle truppe di Lucullo e con esse invadere il territorio pontico, ove le legioni stanziate nella Cilicia ebbero ordine di seguirlo.
I due generali s'incontrarono in Danala, piccola città dei Trocmi; ma non si ottenne la conciliazione, che gli amici dell'uno e dell'altro avevano sperato di operare. Le preliminari cortesie si cambiarono tosto in pungenti discussioni e queste in violenti diverbi: si separarono più discordi di prima.
Continuando Lucullo, come se fosse ancora in carica, a fare dei doni onorari ed assegni di terre, Pompeo dichiarò nulli tutti gli atti compiuti dal suo predecessore dopo il suo arrivo. Secondo le forme legali egli era nel suo diritto; ma si doveva da esso attendere un sentimento morale nel trattamento d'un rivale benemerito e oltremodo offeso.
Così quando la stagione lo permise, le truppe romane passarono i confini del Ponto. Vi trovarono il re Mitridate con 30.000 fanti e 3.000 cavalieri. Abbandonato dai suoi alleati e attaccato dai Romani con forze superiori e con maggiore energia, egli fece un tentativo per ottenere la pace: ma non volle sentir parlare dell'incondizionata sottomissione che Pompeo esigeva; quale peggior danno avrebbe potuto attendersi anche dalla campagna più infelice?
Per non esporre il suo esercito, composto per la maggior parte di arcieri e di cavalieri, al terribile urto delle legioni romane, egli battè lentamente in ritirata dinanzi al nemico, obbligando i Romani a seguirlo in tutte le sue marce, nelle quali, quando gli si presentava l'opportunità, colla sua cavalleria superiore in numero faceva testa alla nemica, e col rendere difficili gli approvvigionamenti cagionava ai Romani non poche tribolazioni.
Pompeo impaziente cessò di seguire l'armata pontica e non curandosi del re volse i suoi sforzi a sottomettere il paese. Egli si avanzò verso l'alto Eufrate, lo passò e toccò le province orientali del regno pontico. Ma anche Mitridate lo seguì sulla sinistra del fiume, e giunto nel paese degli Anaiti o Achiliseni, chiuse ai Romani la strada presso Dastira, piazza forte ed abbondantemente provveduta d'acqua dalla quale egli colle sue truppe leggere dominava la campagna.
Pompeo mancante ancora delle legioni cilicie, senza le quali non si sentiva abbastanza forte per mantenersi in quella posizione, dovette ripassare l'Eufrate e mettersi al sicuro contro i cavalieri e gli arcieri del re dell'Armenia pontica, coperta di selve e tagliata in tutti i sensi da burroni e da profonde valli.
Solo quando furono arrivate le truppe dalla Cilicia, che mettevano Pompeo in grado di riprendere con forze superiori l'offensiva, egli circondò il campo del re con un cordone di posti per la lunghezza di circa venti miglia e ve lo tenne completamente bloccato, mentre i distaccamenti romani, scorrevano a grandi distanze il paese.
La scarsezza dei viveri nel campo pontico era grande; si dovevano già ammazzare le bestie da tiro; finalmente dopo quaranta giorni di indugio, non potendo il re salvare i suoi ammalati e feriti nè volendo lasciarli cadere nelle mani del nemico li fece uccidere dalle sue genti e partì colla più grande segretezza possibile di notte verso l'oriente.