8. Pompeo passa in Grecia.
Quando Cesare aveva invaso il Piceno, Pompeo aveva data l'Italia perduta; egli voleva solo ritardare quanto gli fosse possibile ad imbarcarsi, per salvare le truppe che si potevano ancora salvare. Si era perciò messo lentamente in marcia per raggiungere il più prossimo porto marittimo di Brindisi.
Qui si raccolsero le due legioni di Luceria e tutte le reclute che Pompeo in fretta potè levare dalla spopolata Apulia, e così pure i coscritti che i consoli ed altri incaricati chiamarono sotto le armi; qui si rifugiarono anche i molti fuggiaschi politici, tra i quali si contarono i più ragguardevoli senatori colle loro famiglie.
Si procedette all'imbarco; ma il naviglio disponibile non bastava ad accogliere in una sola volta tutta la massa di 25.000 persone che ancora rimanevano. Non restava che dividere l'esercito. La parte più numerosa fu imbarcata per prima (4 marzo). Pompeo attese in Brindisi il ritorno del naviglio per farvi salire l'altra parte, circa 10.000 uomini. Per quanto fosse desiderabile l'occupazione di Brindisi per fare un tentativo di riprendere l'Italia, Pompeo non si lusingava di poter tenere a lungo quella piazza contro Cesare.
Intanto Cesare arrivò sotto Brindisi e la strinse subito d'assedio. Egli fece anzitutto un tentativo per chiudere l'entrata del porto con dighe e con ponti nuotanti, per impedire l'approdo alla flotta che Pompeo attendeva di ritorno; ma Pompeo aveva fatto armare le navi mercantili che si trovavano nel porto e riuscì ad impedire il blocco totale, finchè, ritornata la flotta, egli potè, nonostante la vigilanza degli assedianti e lo spirito avverso dei cittadini, sottrarre con grande destrezza dalla portata di Cesare le sue truppe e condurle in Grecia illese (17 marzo).
Per la mancanza d'una flotta andò fallito il blocco e non fu possibile inseguire l'esercito. In una campagna di due mesi, senz'essere venuto ad un combattimento serio, Cesare aveva ridotto un esercito di dieci legioni a tale sfasciamento, che a grande stento la parte minore di esse potè salvarsi al di là del mare, ed era venuta in suo potere tutta la penisola italica compresa la capitale col tesoro dello stato e con tutte le provvigioni ivi accumulate.
Non senza ragione il partito soccombente lamentava la terribile rapidità, l'avvedutezza e l'energia del «mostro».
Però non era ben sicuro se colla conquista d'Italia Cesare avesse piuttosto guadagnato che perduto. Sotto l'aspetto militare non solo ora furono chiuse delle importantissime sorgenti agli avversari, mentre si aprirono per Cesare; già nella primavera del 705 = 49 il suo esercito contava, per le importanti leve ordinate dappertutto, oltre le nove legioni di veterani, anche un rilevante numero di legioni composte di reclute.
Ma ora dall'altro lato vedeva necessario non solo di lasciare in Italia una forte guarnigione, ma di prendere anche delle misure per far riuscire vano il progetto degli avversari, padroni del mare, di impedire il commercio transmarino ed impedire la carestia da cui era minacciata specialmente la capitale; per cui il còmpito militare di Cesare, già abbastanza intricato, andava ancor più complicandosi.
Dal lato finanziario fu certo di grande importanza l'essersi Cesare impadronito dei fondi delle casse pubbliche della capitale, ma le più importanti risorse finanziarie, e specialmente le contribuzioni che affluivano a Roma dall'oriente, erano rimaste nelle mani del nemico, e, considerato l'aumento delle spese per l'esercito e il nuovo obbligo assunto di provvedere alla scarsezza dei viveri nella capitale, queste somme di danaro, per grandi che fossero, sfumarono così prontamente, che Cesare si vide ben presto nella necessità di ricorrere al credito privato, e sembrando impossibile che questa misura potesse alla lunga bastare a far fronte alle enormi spese, si attendeva generalmente che, quale unica durevole risorsa, si sarebbe dovuto ricorrere a estese confische.