39. Cesare si reca in Africa.
Questo ammutinamento influì però perniciosamente sulla campagna di Africa, in quanto che ne ritardò non poco l'inizio. Quando Cesare arrivò nel porto di Lilibeo, destinato per l'imbarco, le dieci legioni destinate per l'Africa erano ben lungi dal trovarsi completamente riunite e appunto le truppe scelte erano quelle che maggiormente ne distavano. Ma appena ve ne furono pronte sei, cinque delle quali di nuova formazione, e vi furono arrivate le necessarie navi da guerra e da trasporto, Cesare mise alla vela (25 dicembre 707 = 47 del calendario non riformato, circa l'otto ottobre del calendario giuliano).
La flotta nemica, la quale a cagione delle dominanti procelle equinoziali si era avvicinata alla costa presso l'isola di Egimuro dinanzi al seno cartaginese, non fece nulla per impedire il tragitto; ma le stesse procelle dispersero in tutte le direzioni la flotta di Cesare, e quando a lui si presentò l'opportunità di effettuare lo sbarco non lungi da Adrumeto (Susa) non disponeva di più di tremila fanti, per la maggior parte reclute, e di 150 cavalieri.
Il tentativo di impadronirsi della ben munita Adrumeto andò a vuoto; Cesare s'impossessò invece di due porti situati a breve distanza l'uno dall'altro, Ruspina (Monastir, presso Susa) e Leptide minore. In questo si trincerò; ma la sua posizione era così malsicura, che tenne i suoi cavalieri a bordo delle navi e queste approvigionate d'acqua e pronte a mettere vela per poter tosto rimbarcarsi ove fosse attaccato da forze superiori.
Ma non si venne a questi estremi poichè le navi disperse dalla procella giunsero ancora in buon punto (3 gennaio 708 = 46). Il giorno dopo Cesare, il cui esercito per le misure adottate dai pompeiani scarseggiava di frumento, intraprese con tre legioni una spedizione nell'interno del paese; ma non lungi da Ruspina fu attaccato dalle schiere capitanate da Labieno, colle quali questi intendeva di cacciare Cesare dalla riva. Componendosi le truppe di Labieno esclusivamente di cavalleria e di fanteria leggera, e quelle condotte da Cesare quasi esclusivamente di fanteria di linea, le legioni furono tosto aggirate ed esposte ai proiettili dei nemici, senza poter contraccambiare i colpi o attaccare il nemico con successo. Lo spiegarsi in ordine di battaglia di tutta la linea, ridonò bensì la libertà d'azione alle ali, e coraggiosi assalti salvarono l'onore delle armi, ma la ritirata era inevitabile, e se Ruspina non fosse stata così vicina, i giavellotti mauritani avrebbero fatto ciò che presso Carre avevano fatto le frecce dei Parti.
Persuaso da questa giornata di tutta la gravità della sovrastante guerra, Cesare non volle esporre ad un secondo simile attacco gli inesperti suoi soldati, scoraggiati com'erano da questo nuovo modo di combattere, ma attese l'arrivo delle legioni dei suoi veterani, impiegando questo frattempo a pareggiare possibilmente la sconfortante superiorità del nemico nelle armi di grande proiezione.
Si ingrossarono le file dell'esercito cogli uomini più destri della flotta, facendoli servire, sebbene con poco profitto, da cavalleggeri e da imberciatori. Più efficaci riuscirono le diversioni promosse da Cesare. Pensò di chiamare sotto le armi, contro Giuba, le tribù pastorali dei Getuli, vaganti sul versante meridionale del grande Atlante verso il gran deserto di Sahara; poichè esse pure erano state danneggiate dai colpi vibrati da Mario e da Silla, e il loro sdegno contro Pompeo, il quale allora le aveva assoggettate ai re della Numidia, le rese subito favorevoli all'erede del potente Mario, di cui serbavano grata memoria fino dai tempi della guerra giugurtina.
Il re della Mauritania Bogud, in Tingi, Bocco in Jol (Cesarea) erano rivali naturali di Giuba, e da lungo tempo alleati di Cesare. Andava poi scorrendo il territorio sconfinario tra i regni di Giuba e di Bocco l'ultimo dei catilinari, quel Publio Sizio da Nocera il quale, diciotto anni addietro, da commerciante italico fallito si era mutato in condottiero mauritano di corpi franchi, e da allora in poi si era fatto un nome e creata una banda, approfittando degli imbrogli della Libia.
Bocco e Sizio invasero d'accordo il paese numidico, occuparono l'importante città di Cirta, e la loro aggressione e quella fatta dai getuli costrinsero re Giuba a spedire una parte delle sue truppe ai confini meridionali e occidentali. Ciò nonostante la situazione di Cesare era abbastanza difficile.
Il suo esercito era circoscritto nello spazio di una lega quadrata: la flotta provvedeva ai bisogni di frumento, ma vi si faceva sentire la mancanza di foraggio appunto come sotto Durazzo alla cavalleria di Pompeo. Le truppe leggere nemiche di fronte a quelle di Cesare conservavano la grandissima loro superiorità, malgrado tutti gli sforzi impiegati da questo valorosissimo capitano, così che egli giudicava impossibile di prendere l'offensiva nell'interno del paese anche con soldati veterani.
Se Scipione si fosse ritirato ed avesse abbandonate le città marittime, avrebbe forse potuto riportare una vittoria come quella che avevano riportato il visir di Orodes su Crasso e Giuba su Curione, e per lo meno avrebbe potuto protrarre la guerra all'infinito. Questo piano di guerra era suggerito dalla più semplice riflessione; lo stesso Catone, sebbene tutt'altro che stratega, lo consigliò e si offrì al tempo stesso di recarsi in Italia con un corpo d'armata e di chiamare colà i repubblicani sotto le armi, ciò che, per la grande confusione che vi regnava, poteva avere un buon successo.
Ma Catone poteva soltanto consigliare, non comandare; il supremo duce, Scipione, decise che la guerra dovesse combattersi sul litorale. Era questo un errore, non solo in quanto si abbandonava un piano di guerra che prometteva un successo sicuro, ma anche perchè il paese nel quale si trasferiva la guerra si trovava in grande commozione, e l'esercito che stava di fronte a quello di Cesare era in gran parte malsicuro.
La leva eseguita con una terribile durezza, l'asportazione delle provvigioni, la devastazione dei piccoli villaggi e in generale il sentimento di essere sacrificati per una causa ormai perduta e ad essi estranea, avevano irritato la popolazione indigena contro i repubblicani romani, che combattevano l'ultima loro battaglia di disperazione sul suolo africano; e le misure di terrorismo da essi prese contro tutti i comuni tacciati d'indifferenza, avevano cambiato questo sommovimento nel più terribile odio.