19. Complicazioni.
All'occidente il re Bocco della Mauritania, del quale in altri tempi i Romani avevano respinta l'amicizia, sembrava ora disposto a congiungersi a suo genero contro i medesimi; egli non solo lo accolse nel suo palazzo, ma unite le sue numerose schiere ai cavalieri di Giugurta, marciò verso Cirta, dove Metello teneva i suoi quartieri d'inverno.
Si iniziarono delle trattative; era evidente che Bocco, nella persona di Giugurta teneva in mano, per Roma, il vero frutto della lotta. Ma quale fosse la sua intenzione, se quella di vendere a caro prezzo il genero ai Romani, o d'incominciare d'accordo col genero la guerra nazionale, non lo sapevano nè i Romani, nè Giugurta e forse nemmeno il re stesso; questi non si prendeva premura d'uscire dalla sua ambigua posizione. Allora Metello, costretto da un plebiscito, abbandonò la provincia dandola vinta al suo antico legato, all'attuale console Mario, e questi assunse il supremo comando per la prossima campagna del 648 = 106.
Mario dovette ciò in qualche modo ad una rivoluzione. Confidando nei servizi da lui resi e nei vaticinî, egli si era deciso a sollecitare il consolato; se l'aristocrazia avesse appoggiato la candidatura costituzionale e perfettamente regolare di quest'uomo valente, che non apparteneva assolutamente al partito dell'opposizione, non si avrebbe dovuto far altro che iscrivere una nuova famiglia nei fasti consolari; quest'uomo non nobile che chiedeva per sè la più alta dignità dello stato fu invece oltraggiato da tutta la casta dei governanti, e quasi fosse impudente innovatore e rivoluzionario – proprio come dai patrizi si usava una volta trattare il postulante plebeo, e colla sola differenza che adesso si faceva senza ombra di diritto – questo valoroso ufficiale fu da Metello schernito con pungenti parole: Mario attendesse a presentarsi candidato il giorno in cui il figlio di Metello, un giovane imberbe, potesse presentarsi con lui; e solo negli ultimi momenti gli fu concesso nel modo più scortese il permesso di comparire nella capitale come aspirante al consolato per l'anno 647 = 107.
Qui egli si vendicò dell'affronto ricevuto dal suo comandante, censurando dinanzi alla moltitudine, che avidamente lo ascoltava, il sistema di guerra e l'amministrazione di Metello in Africa in modo vergognoso e indegno d'un ufficiale; così non arrossì d'inventare nella sua arringa alla plebe, sempre proclive a credere le più strane e favolose cospirazioni dei signori, la notizia che Metello tirasse in lungo la guerra per conservare la carica di duce supremo più che potesse.
La plebe lo comprese subito; quei molti che avversavano il governo per ragioni buone o cattive, specialmente il ceto mercantile giustamente irritato, subito accolsero l'occasione di offendere l'aristocrazia nel suo lato più sensibile; non solo Mario fu eletto console a grande maggioranza, ma per eccezione gli fu anche conferito con un plebiscito il supremo comando nella guerra africana, mentre a tenore della legge di Caio Gracco toccava di solito al senato di determinare le competenze dei consoli.