9. Commercio marittimo.
Le relazioni di commercio marittimo che esistevano, come abbiamo già accennato, tra la Sicilia ed il Lazio, tra l'Etruria e l'Attica e tra l'Adriatico e Taranto duravano tuttavia, anzi esse appartengono più specialmente a quest'epoca; poichè, sebbene gli indizi di tali relazioni, che d'ordinario si trovano senza indicazione di tempo, siano stati riferiti, stante la complessità delle notizie, quando si parlò del precedente periodo storico, essi certamente si riferiscono anche al periodo presente.
E meglio di ogni altra cosa ce ne fanno prova naturalmente le monete. Come si trovano provate le relazioni commerciali tra gli Etruschi e l'Attica, e tra i Siculi e i Latini, dal conio delle monete etrusche d'argento sulla base del tipo attico e dalla introduzione del rame italico e particolarmente latino in Sicilia, così è provato l'attivo traffico dei Greci della bassa Italia, e specialmente dei Tarentini, col litorale dell'Italia orientale dall'accennato ragguaglio delle monete d'argento della Magna Grecia colla moneta di rame picena e apula, per tacere di altri numerosi indizi.
Invece il commercio tra i Latini ed i Greci della Campania, che prima riscontravasi molto attivo, pare che sia stato turbato dalla immigrazione sabellica, e che non sia riuscito di molta importanza durante i primi centocinquant'anni della repubblica; il rifiuto dei Sanniti di soccorrere i Romani stanziati in Capua ed in Cuma col loro grano nell'anno della carestia 343 = 411, ci fornirebbe una traccia delle cambiate relazioni tra il Lazio e la Campania, sino a che nel principio del quinto secolo le armi romane rinnovellarono ed allargarono le antiche relazioni.
Entrando nei particolari, ci sia ancora permesso di accennare alla notizia conservataci dalla cronaca d'Ardea come fatto desunto dalla storia del commercio romano, con l'indicazione dell'epoca, ciò che di rado occorre, che cioè nell'anno 454 = 300 venne in Ardea, dalla Sicilia, il primo barbiere, e di fare altresì menzione dei vasi di terra cotta dipinti, che si spedivano particolarmente dall'Attica come pure da Corcira e dalla Sicilia nella Lucania, nella Campania e nell'Etruria, e che servivano di decorazione alle celle mortuarie, articoli di commercio d'oltre mare di cui, più che di ogni altro della stessa specie, noi abbiamo notizie.
Questa importazione dev'essere cominciata verso il tempo della cacciata dei Tarquinii, giacchè i vasi del più antico stile, che scarsi si trovano in Italia, debbono essere stati dipinti nella seconda metà del terzo secolo di Roma, mentre quelli dallo stile severo, che vi si trovarono in maggior copia, devono aver appartenuto alla prima metà, e quelli di stile perfetto alla seconda metà del quarto secolo, e la sterminata massa degli altri vasi, che spesso si distinguono per magnificenza e per dimensione, ma di rado per finezza di lavoro, si vogliono assegnare al secolo che venne di poi.
E anche questo costume di ornare le celle mortuarie gli Italici lo derivarono dagli Elleni; ma i Greci, con i modesti loro mezzi e col loro tatto squisito, lo contennero nei giusti limiti, mentre in Italia, con opulenza barbara e con barbaro lusso, se ne fece strabocchevole profusione.
Ma è degno di nota, che i paesi in cui si riscontra tale sovrabbondanza sono, in Italia, soltanto quelli dove troviamo una civiltà semi-ellenica, e chi sa leggere questa scrittura storica riconoscerà nelle tombe degli Etruschi e dei Campani, dalle quali si rifornirono i nostri musei, il commento parlante a quel che ci riferiscono gli antichi sulla semiciviltà etrusca e campana soffocata dal rigoglio delle ricchezze e della pompa. I costumi schietti dei Sanniti, invece, si mantennero immuni da tale fasto insano; in questo paese la povertà del commercio e della vita civile ci si manifesta sia per la mancanza di suppellettili ceramiche provenienti dalla Grecia ad ornamento delle celle mortuarie, sia per la mancanza d'una propria moneta sannitica.
E deve sembrarci cosa anche più mirabile che lo stesso Lazio, benchè distante dai Greci non più dell'Etruria e della Campania, benchè unito con essi in strettissime relazioni, si sia astenuto affatto del costume di ostentare ornamenti nei suoi sepolcreti. Anche in ciò si deve riconoscere l'influenza dei severi costumi romani, o almeno della rigida polizia dei Romani.
E dalla polizia repubblicana certo dipendono, per lo meno in virtù della legge sui buoni costumi e del timore della denuncia censoria, le già accennate proibizioni contenute nella legge delle dodici tavole contro le coltri porporine ed i gioielli d'oro nei corredi funebri, e la proibizione di tutte le suppellettili d'argento ad eccezione della saliera e della patera dei sagrifizi, tra gli utensili domestici; e noi troveremo anche nell'architettura lo stesso concetto, contrario ad ogni lusso sia popolare che patrizio.
Ma anche quando si riconosca che Roma, mercè le sue leggi e i costumi del patriziato, conservò più a lungo di Volsinio e di Capua una tale semplicità, non si potrà perciò credere che fossero di poco momento i suoi commerci e le sue industrie, sulle quali, non meno che sull'agricoltura, si fondavano in origine la prosperità di Roma, e che certo avranno sentito il vivificante influsso della nuova potenza a cui veniva assurgendo lo stato.