4. Caratteri dei Celti.
La gente celtica, detta anche galata o gallica, sortì dalla madre comune doti diverse da quelle che ebbero le stirpi sorelle italiche, germaniche ed elleniche. Essa, benchè ricca di solidi pregi, e forse più brillanti che solidi, manca di quell'indole morale e di quel senso politico su cui si basa fermamente, nelle vicende della natura umana, tutto ciò che vi è di buono e di grande.
Cicerone dice che il libero Celto considerava come vergognoso il coltivare la terra colle proprie braccia. I Celti preferivano la vita pastorale all'agricola, e persino negli ubertosi piani del Po coltivavano di preferenza l'industria dell'ingrassare maiali, nutrendosi delle carni delle loro greggi e vivendo con queste giorno e notte nei querceti.
I Celti non sono affezionati alla propria terra al pari degli Italici e dei Germani; piace loro, invece, convivere in città e borgate, le quali crebbero in estensione e in importanza prima, a quanto pare, ne' paesi celtici che nella stessa Italia.
La loro costituzione civile è imperfetta; non solo l'unità nazionale vi è appena abbozzata da un debole vincolo federativo, come in origine presso tutte le nazioni, ma anche in ciascuna comunità mancano lo spirito di concordia, di fermezza politica, di coesione civica e i desideri e i concetti che ne sono la conseguenza.
Il solo ordinamento, a cui si adattano, è il militare, nel quale i legami della disciplina tolgono a ciascun individuo la grave fatica di dirigersi da se stesso. «Le più spiccate qualità della gente celtica – dice il loro storico Thierry – sono il valore personale, in cui si mostrano superiori a tutti i popoli; un carattere fermo, impetuoso, accessibile a qualunque impressione, molta intelligenza, ma nello stesso tempo moltissima volubilità; nessuna perseveranza, renitenza alla disciplina e all'ordine, millanteria e discordia eterna, conseguenza d'una vanità sconfinata».
Catone il vecchio dice, più laconicamente, pressochè lo stesso: «I Celti di due cose fanno gran conto: combattere e far dello spirito»[2].
Queste qualità di buoni soldati e di cattivi cittadini ci spiegano la loro singolarità storica: avere i Celti scosso tutti gli stati e non averne fondato alcuno. Ovunque li troviamo pronti a migrare, cioè a marciare; ai fondi stabili preferiscono i beni mobili, l'oro ad ogni altra cosa; esercitano l'arte della guerra come bande organizzate di predoni o quasi professione mercenaria, e a dir vero con tale successo, che lo stesso storico romano Sallustio lascia ai Celti, nel maneggio dell'armi, il vanto sopra i Romani.
Ed essi sono i veri lanzichenecchi dell'antichità; e, conforme ce li rappresentano le immagini e le descrizioni, erano grandi, ben nerboruti della persona, avevano capelli incolti, baffi lunghi – all'opposto dei Greci e dei Romani, i quali si tagliavano i capelli e si radevano i baffi – erano coperti di mantelli ricamati e screziati, che non di rado gettavano via nel fervore della battaglia. Portavano un largo cerchio d'oro al collo, privi di elmo e non portavano alcuna specie d'arme da getto, ma erano invece muniti di uno smisurato scudo e d'una lunga daga mal temprata, d'un pugnale e d'una lancia; tutte queste armi erano guarnite d'oro, essendo abili a lavorare i metalli. Per acquistare rinomanza tutto ad essi serviva, persino le ferite riportate, che non di rado espressamente allargavano per ostentare una più appariscente cicatrice.
D'ordinario combattevano a piedi, ma alcune schiere anche a cavallo, e allora ogni cavaliere libero era seguito da due scudieri egualmente a cavallo; ebbero presto carri da battaglia come i Libii e gli Elleni de' più antichi tempi. Parecchi tratti ricordano i cavalieri del medio-evo; più di tutto il duello, che era estraneo ai Romani ed ai Greci. E non solo in guerra essi solevano sfidare a singolar combattimento il nemico dopo d'averlo schernito e beffeggiato con gesti e parole, ma combattevano nelle pompose loro armature all'ultimo sangue anche in tempo di pace.
È naturale che dopo le battaglie e le parate non mancassero gazzarre e banchetti.
I Celti conducevano questa maniera di vita vagabonda e soldatesca, la quale tra continue lotte ed azioni, come soglion dirsi, eroiche, compiute sotto il proprio e sotto l'altrui vessillo, li disseminava dall'Irlanda e dalla Spagna sino all'Asia minore. Ma qualunque cosa intraprendessero, si dissolveva come la neve a primavera, cosicchè in nessun luogo si trova un grande stato, in nessun luogo una cultura creata dai Celti.
Così ci dipingono gli antichi questa nazione, sulla cui origine non abbiamo che congetture. Usciti dallo stesso alveo, donde vennero le popolazioni elleniche, italiche e germaniche[3] i Celti, provenienti anch'essi dalla madre patria orientale, sono senza dubbio penetrati in Europa, ove fin dalle età più antiche giunsero al mare d'occidente, presero dimora principalmente nella Francia d'oggidì, si spostarono verso il settentrione nelle isole britanniche, varcarono verso mezzodì i Pirenei combattendo colle popolazioni iberiche pel possesso della penisola.
Ma la loro prima grande migrazione aveva dilagato girando lungo le pendici settentrionali dell'Alpi, e solo dalle regioni occidentali cominciarono essi ad effettuare in masse più ridotte e con direzione opposta quelle calate, che li condussero oltre l'Alpi e oltre l'Emo, e persino attraverso il Bosforo, per cui divennero lo spavento di tutte le nazioni civili dell'antichità e tali rimasero per molti secoli, finchè le vittorie di Cesare e la difesa delle frontiere organizzata da Augusto non ruppero le loro forze.
La leggenda patria sulle emigrazioni, di cui andiamo debitori particolarmente a Livio, narra in questa forma le invasioni repressive, che avvennero poi[4]. La federazione gallica, alla cui testa si trovava già a quei tempi, come più tardi ai tempi di Cesare, il paese dei Biturigi (intorno a Bourges) regnando il re Ambiato, avrebbe mandati fuori due grandi sciami d'armati, capitanati da due nipoti del re. L'orda capitana di Sigoveso, passato il Reno, si sarebbe inoltrata nella Selva Nera. L'altro sciame, guidato da Belloveso, varcate le Alpi Graie (il Piccolo S. Bernardo), sarebbe disceso nella valle del Po.