9 Commercio interno degli italici.
È naturale, che nelle epoche più antiche il commercio italico fosse limitato al traffico degli Italici fra loro. Le fiere romane (mercatus), che vanno distinte dai soliti mercati settimanali (nundinae), sono antichissime. In origine esse a Roma non dovettero essere unite coi giuochi solenni, come fu praticato più tardi, ma fatte coincidere con le solennità che si celebravano nel tempio della Concordia sul monte Aventino; i Latini, i quali a questo fine venivano a Roma ogni anno il 13 agosto, approfittavano di questa opportunità per sbrigare i loro affari, e per fare acquisto di ciò che loro occorreva. Una simile, e forse maggiore, importanza aveva per l'Etruria l'annuale convegno nazionale vicino al tempio di Voltumna (forse presso Montefiascone) nel territorio di Volsinio, durante il quale bandivasi una fiera frequentata regolarmente anche da mercanti romani.
Ma la più notevole di tutte le fiere italiche era quella che si teneva al Soratte, nella selvetta dedicata alla dea Ferona, luogo tanto acconcio allo scambio delle merci tra le grandi nazioni, che difficilmente se ne sarebbe potuto trovare uno migliore. Quel monte, alto e isolato, posto come per provvidenza in mezzo alla pianura del Tevere, quasi richiamo ai viandanti, trovasi sul confine tra l'Etruria ed il paese dei Sabini, cui pare che abbia per la maggior parte appartenuto[9], e vi si giungeva con tutta facilità anche dal Lazio e dall'Umbria; lo frequentavano regolarmente i negozianti romani, le offese dei quali cagionavano non poche contese coi Sabini.
Senza dubbio in queste fiere si commerciava molto tempo innanzi che il primo naviglio greco o fenicio avesse solcato le acque del mare occidentale. Qui i paesi si aiutavano reciprocamente con i cereali negli anni scarsi; qui si scambiavano inoltre bestie, schiavi, metalli e tutto ciò che in quei tempi remoti si desiderava, e di cui si abbisognava. La più antica merce, che si pigliava per comun valore ad agevolare gli scambi erano i buoi e le pecore; si davano dieci pecore per un bue; tanto il valore fisso di questi oggetti, accettati come universale rappresentanza relativa, ossia come denaro, quanto la regola di proporzione tra il bestiame grosso ed il bestiame minuto, risale, come lo prova la riproduzione di questi rapporti particolarmente presso i Tedeschi, non solo ai tempi greco-italici, ma ancora più indietro, ai tempi della pastorizia[10]. In Italia, ove si abbisognava in generale del metallo in gran copia, e particolarmente per la coltivazione delle terre e per l'armamento, e dove pochi paesi soltanto producevano i metalli occorrenti, nasce assai presto un secondo mezzo di scambio, cioè il rame (aes); e i Latini, che per la scarsità che ne avevano, tenevano il rame in gran pregio, chiamavano dal rame la estimazione, l'apprezzamento (aestimatio). In tale valutazione del rame, come equivalente universale ammesso negli scambi in tutta la penisola, e così pure nei semplici numeri d'invenzione italica, nel sistema duodecimale, si riscontrano tracce di questo antichissimo commercio internazionale dei popoli italici, prima che giungessero ad intromettervisi gli stranieri.