15. Catilina in Etruria.
Catilina lasciò la seduta e si recò in Etruria, ciò che avrebbe fatto certamente anche senza quell'incidente. Qui si proclamò console da se stesso e si tenne pronto per far marciare le truppe al primo annunzio dello scoppio dell'insurrezione nella capitale.
Il governo pronunciò il bando contro i due capi, Catilina e Manlio, e contro quei loro associati che entro un termine stabilito non avessero deposte le armi, e chiamò nuove milizie; senonchè alla testa dell'esercito destinato ad agire contro Catilina fu posto il console Caio Antonio, il quale era notoriamente implicato nella congiura, e, considerato il carattere di costui, dipendeva assolutamente dal caso se egli condurrebbe le sue truppe contro Catilina o se le metterebbe a sua disposizione.
Pareva che il governo si fosse proprio studiato di fare di questo Antonio un altro Lepido. E così non si procedette menomamente contro i promotori della congiura rimasti nella capitale, benchè fossero da tutti mostrati a dito, e benchè dai congiurati si fosse tutt'altro che rinunciato all'insurrezione nella capitale essendone anzi stato stabilito il piano da Catilina stesso prima della sua partenza da Roma.
Un tribuno doveva darne il segnale colla convocazione del popolo; nella notte seguente il console Cicerone doveva essere spacciato da Cetego; Gabinio e Statilio dovevano appiccare nel tempo stesso in dodici località il fuoco alla città e colla maggior possibile destrezza assicurare le comunicazioni con l'esercito di Catilina.
Se le stringenti insinuazioni di Cetego fossero state fruttuose e se Lentulo, il quale dopo la partenza di Catilina era stato messo alla testa dei congiurati, si fosse deciso ad insorgere senza indugio, la congiura avrebbe potuto ancora riuscire. Ma i cospiratori erano appunto così inetti e così vili come i loro avversari; trascorsero delle settimane e non si venne a nessuna decisione.