21. I Cimbri in Italia.
Ma quando i Cimbri in dense schiere sbucarono dalle gole dei monti, l'esercito romano si lasciò prendere dal timor panico e legionari e cavalieri fuggirono questi direttamente nella capitale, quelli sulla prima altura che trovarono atta a difendersi. A stento Catulo con uno stratagemma potè ricondurre la maggior parte del suo esercito al fiume e oltre il ponte prima che i nemici, i quali dominavano il corso superiore dell'Adige e che avevano già fatto scorrere alberi e travi contro il ponte, potessero distruggerlo e con ciò tagliare la strada all'esercito.
Ma il generale era stato costretto a lasciare una legione sull'altra sponda, e già il vile tribuno che la comandava voleva capitolare, allorchè il capitano Gneo Petreio da Atina, trafiggendo il codardo, passò in mezzo al nemico sulla destra dell'Adige, dove si trovava il grosso dell'esercito. Così fu salvo l'esercito e in certo modo l'onore delle armi; ma le conseguenze dell'indugio nell'occupare i passi e della soverchia fretta nel ritirarsi, furono tuttavia assai gravi.
Catulo dovette ritirarsi sulla destra del Po e lasciare tutta la pianura tra questo fiume e le Alpi in potere dei Cimbri, conservando così solo per la via di mare le comunicazioni con Aquileia. Ciò accadde nell'estate del 652 = 102 all'epoca in cui i Teutoni e i Romani combattevano ad Aquæ Sextiæ.
Se i Cimbri avessero continuato i loro attacchi senza fermarsi, forse Roma si sarebbe trovata in assai cattive condizioni; ma anche questa volta, fedeli alla loro usanza, deposero le armi nell'inverno, tanto più che trovavano intorno a sè ogni sorta di agi della vita in un paese ricco come la valle del Po, ove era abbondanza di comodi alloggiamenti, di bagni caldi, di nuove delicate vivande e di vini generosi. Intanto i Romani guadagnarono tempo per potersi ordinare ed incontrarli con le loro forze riunite.
Non era adesso il momento di riprendere l'interrotto disegno di conquista del paese occupato dai Celti, come Caio Gracco poteva aver ideato e come il democratico generale Mario, in altre condizioni, avrebbe fatto; dal campo di battaglia di Aix l'esercito vittorioso fu condotto sulle rive del Po, e Mario, dopo breve sosta nella capitale, dove ricusò l'offertogli onore del trionfo sino a che non avesse riportato totale vittoria sui barbari, fece ritorno al campo degli eserciti riuniti.
Nella primavera del 653 = 101 i Romani in numero di 50.000 uomini, capitanati dal console Mario e dal proconsole Catulo, ripassarono il Po e cercarono i Cimbri, che, come sembra, si erano messi in marcia a ritroso del gran fiume, per guadarlo alle sorgenti.
Al di sotto di Vercelli, non lungi dallo sbocco della Sesia nel Po[17], appunto dove Annibale aveva combattuto la sua prima battaglia sul suolo italico, stettero di fronte gli eserciti. I Cimbri volevano venire alle mani e, seguendo il loro costume, invitarono i Romani a scegliere il tempo e il luogo; Mario li assecondò e fissò il dì seguente – era il 30 luglio 653 = 101 – ed i Campi Raudi, una vasta pianura sulla quale la cavalleria romana, superiore di forza, ebbe il vantaggio di potersi spiegare.
Qui i Romani fecero impeto sul nemico di sorpresa, benchè fossero attesi, poichè la cavalleria cimbra nella fitta nebbia mattinale, trovatasi prima che se lo aspettasse alle prese con la cavalleria romana, superiore di numero, fu da questa respinta addosso alla fanteria che stava ordinandosi per entrare in battaglia.
Con poche perdite i Romani riportarono una completa vittoria e distrussero i Cimbri. I morti sul campo, che erano i più, tra cui il valoroso re Boiorige, potevano dirsi fortunati, almeno più di quelli che poi, disperati, si diedero la morte o furono costretti di cercare in Roma sul mercato degli schiavi un padrone che fece scontare al nordico l'arditezza d'aver bramato prima del tempo le bellezze del mezzogiorno.
I Tigorini che si erano fermati ai primi gradini delle Alpi per poi seguire i Cimbri, appena ebbero notizia della sconfitta, si affrettarono a ritornare nel loro paese.
La fiumana d'uomini che per tredici anni aveva messo in apprensione tutte le nazioni dal Danubio all'Ebro, dalla Senna al Po, riposava sotterra o languiva sotto il giogo della schiavitù; le avanguardie delle migrazioni tedesche avevano pagato il debito loro; il popolo dei Cimbri coi suoi connazionali, privo di patria, più non esisteva.