13. Difficoltà di Cesare.
Quando per lo scioglimento delle nevi i fiumi gonfiarono, quei ponti provvisori furono portati via dalla corrente; e siccome si difettava di barche per passare i fiumi straripati, e in tali condizioni non si poteva allora pensare nemmeno a ripristinare i ponti, l'esercito romano si trovò chiuso nell'angusto spazio fra la Cinga ed il Sicori. Perciò la riva sinistra di questo fiume, e con essa la strada per la quale l'esercito si teneva in comunicazione colla Gallia e coll'Italia, furono abbandonate quasi senza difesa ai pompeiani, i quali passarono il fiume in parte sul ponte della città, in parte al modo lusitano, nuotando e sostenendosi colle otri.
Era l'epoca che precedeva di poco quella della messe, il vecchio raccolto era quasi esaurito, il nuovo non ancora mietuto e lo scarso territorio fra i due fiumicelli non tardò molto ad essere interamente esausto.
Nel campo romano regnava una vera carestia – uno staio di frumento costava 300 denari (L. 315) – e vi si andavano sviluppando gravi malattie; invece sulla riva sinistra vi era prodigiosa abbondanza di mezzi di sussistenza e di soldati di ogni arma. Soccorsi di cavalleria e di frombolieri provenienti dalla Gallia, ufficiali e soldati congedati, scorribande che rimpatriavano, in tutto una massa di 6000 uomini, furono attaccati dai pompeiani con forze superiori e cacciati con molte perdite nelle montagne, mentre i cesariani sulla sponda destra erano costretti ad assistere all'ineguale lotta colle armi in spalla.
Le comunicazioni dell'esercito erano in potere dei pompeiani; in Italia mancarono ad un tratto le notizie di Spagna, e le tristi relazioni, che cominciarono a spargersi, non erano molto lontane dal vero.
Se i pompeiani avessero con un po' d'energia approfittato dei loro vantaggi, non poteva loro mancare di far prigioniera tutta la massa assiepata sulla sinistra del Sicori, incapace com'era di fare resistenza, o almeno di respingerla nella Gallia e di occupare così completamente quella riva del fiume, che nessuno avrebbe potuto passare a loro insaputa. Ma non fecero nè l'una nè l'altra cosa; quelle truppe erano state sbaragliate, ma non distrutte nè del tutto respinte, e quanto al passaggio del fiume se ne lasciò al fiume stesso la guardia.
Cesare approfittò del suo piano. Egli fece costruire nel suo campo dei leggeri battelli portatili coll'intrecciatura di vimini coperta di pelle sul modello di quelli che si usavano nella Manica dai Brettoni e poi dai Sassoni, e posti sopra carri li fece trasportare sul luogo dove erano prima i due ponti. Con questi fragili canotti si raggiunse l'altra riva, e trovatala senza difesa, si diede mano alla ricostruzione del ponte senza grande difficoltà.
Con tutta celerità furono rese libere anche le comunicazioni e furono trasportate nel campo le provvigioni con tanta impazienza aspettate.
La felice idea di Cesare trasse perciò l'esercito dal grave pericolo in cui versava. La sua cavalleria, per valore molto superiore alla nemica, cominciò immediatamente a scorrere il paese sulla sinistra del Sicori, e allora non tardarono a dichiararsi per Cesare i più importanti comuni spagnuoli posti fra i Pirenei e l'Ebro, come Osca, Tarragona, Dertosa ed altri, e persino alcuni paesi posti a mezzogiorno dell'Ebro.