2. Gli anarchici e Clodio.
Invece la canaglia d'ogni specie non aveva avuto mai giorni migliori, mai più gioconde arene per le sue gesta. Il numero dei piccoli grandi uomini era legione. La demagogia era divenuta un vero mestiere a cui non mancavano i mezzi per esercitarlo: il mantello sdrucito, la barba incolta, i lunghi capelli ondeggianti al vento, la voce stentorea; e non di rado era un mestiere d'oro.
Per le grida obbligate, servivano magnificamente le sperimentate gole delle persone da teatro[1]; quelli che in gran numero intervenivano alle pubbliche assemblee e che erano i più famosi berciatori erano i Greci ed i Giudei, i liberti e gli schiavi; persino quando si trattava di venire alla votazione i cittadini autorizzati dalla legge a dare il voto erano spesso in scarsissimo numero. Si legge in una lettera di quei tempi: «Non andrà molto che vedremo i nostri servi votare la legge sulla tassa d'emancipazione».
Le vere autorità del giorno erano le bande organizzate ed armate, i battaglioni dell'anarchia organizzati da nobili avventurieri e composti di schiavi addestrati nel maneggio delle armi e di mascalzoni. I loro comandanti avevano in origine appartenuto quasi tutti al partito del popolo; ma dopo la partenza di Cesare – il solo che si sapesse imporre alla democrazia e il solo che conoscesse il modo di condurla – era scomparsa da essa ogni disciplina e ogni partigiano seguiva la propria politica.
Questi uomini preferivano certamente anche ora di combattere sotto il vessillo della libertà; ma veramente non erano nè democratici nè antidemocratici, quindi scrissero sulla inevitabile bandiera, ora il nome del popolo ora quello del senato, o quello di un capoparte, come conveniva meglio; così, ad esempio, fece Clodio combattendo o facendo credere di combattere prima per la dominante democrazia, poi per il senato e per Crasso.
I condottieri delle bande rimanevano fedeli al loro colore solo in quanto essi perseguitavano inesorabilmente i loro nemici personali, così Clodio perseguitò Cicerone, Milone il suo nemico Clodio, per cui la loro posizione partigiana in queste guerre private serviva come una mossa scacchistica. Voler scrivere la storia di questa tregenda politica sarebbe lo stesso che voler musicare un charivari; non importa nemmeno narrare tutti gli assassini, assedi di case, incendi ed altre simili scene brigantesche, avvenute in piena luce in una città mondiale e di calcolare le volte in cui si passò dallo zittire e dallo strillare agli sputi ed al menar le mani, e quindi alle sassate e al balenar delle spade.
Il protagonista in questo teatro politico di mascalzoni era quel Publio Clodio di cui, come abbiam già detto, coloro che avevano in mano il potere si servivano contro Catone e Cicerone. Abbandonato a sè stesso, questo partigiano influente, capace, energico e, nel suo mestiere veramente insuperabile, seguì, durante il suo tribunato del popolo (696 = 58), una politica ultrademocratica; distribuì ai cittadini il frumento gratuitamente, limitò il diritto che avevano i censori di redarguire i cittadini scostumati, vietò alle autorità di arrestare con formalità religiose l'andamento degli affari nei comizi, tolse di mezzo le restrizioni che, poco prima (690 = 64), erano state poste al diritto di associazione delle classi inferiori, per mettere un limite alla formazione delle bande, e ripristinò le «adunanze compitali» (collegia compitalicia), appena soppresse, le quali non erano altro se non una formale organizzazione di tutto il proletariato libero e schiavo della capitale, diviso per contrade e regolato quasi militarmente.
Se inoltre la legge che Clodio aveva già pronta e che come pretore nel 702 = 52 pensava di far adottare, accordava ai liberi ed agli schiavi, che erano liberi di fatto, gli stessi diritti politici dei nati liberi, l'autore di queste energiche riforme costituzionali poteva ben dire di aver portato al colmo la sua opera, e, come novello Numa della libertà e dell'uguaglianza, invitare la dolce plebe della capitale ad assistere al solenne sacrificio nel tempio della libertà, eretto sul Palatino sul suolo di qualche edificio da lui incendiato, per inaugurare gli albori dell'era democratica.
Questi sforzi di libertà non escludevano il traffico che naturalmente si faceva coi plebisciti; come Cesare, così anche la scimmia di Cesare concedeva per danaro anche ai suoi concittadini luogotenenze ed altri posti e posticini, ai re vassalli ed alle città suddite i diritti sovrani dello stato.