5 I Salii.
Sebbene a Roma non mancassero nè il sacerdozio, nè i sacerdoti, colui che aveva da innalzare una preghiera a qualche divinità non si rivolgeva al sacerdote, ma direttamente al nume. Ogni supplicante e chiedente parla senza mediatori alla divinità; se non che, come è naturale, il comune prega per mezzo del re, la curia per mezzo del curione, e la cavalleria per mezzo del condottiero dei cavalieri; ma nessuna interposizione sacerdotale poteva adombrare o ottenebrare l'originaria e semplice posizione religiosa.
Non è certamente facile venire a contatto con la divinità. Gli dei hanno la loro propria maniera di parlare, intelligibile soltanto all'uomo pratico; ma colui che bene intende il linguaggio divino, non solo sa interpretarlo, ma anche provocarlo, dirigerlo, e in caso di bisogno, lottando d'astuzia, trarne il domandato responso. E perciò è naturale che l'adoratore del nume invocato faccia capo agli uomini esperti in queste pratiche, e ai consulti con loro. Da ciò nacquero le compagnie religiose, istituzione in tutto propria delle genti italiche, e che ha esercitato un'influenza ben più grande sullo svolgimento politico della nazione di quel che non lo abbiano esercitato i singoli sacerdoti e i ceti sacerdotali. Le compagnie dei sapienti in materia religiosa furono spesso scambiate, e a torto, coi corpi sacerdotali. A questi è commesso il culto d'una determinata divinità: alle compagnie invece, di cui parliamo, è affidata la conservazione delle tradizioni per quelle più generali ritualità religiose, per l'esatta esecuzione delle quali si richiedevano certe determinate cognizioni, e nella cui tradizione e conservazione era interessato lo stato. Questi consorzi, che si formano di soci cittadini, divennero perciò i depositari dello scibile delle arti e delle scienze.
Nella costituzione romana, anzi in generale nelle costituzioni latine, non troviamo originariamente che due collegi simili: quello degli auguri e quello de' pontefici[5].