19. Vani tentativi di pace.
Venne l'inverno. Filippo ne approfittò ancora per ottenere, ove fosse possibile, la pace ad eque condizioni.
Egli comparve in persona ad una conferenza che fu tenuta a Nicea, sul golfo Malea, e tentò di mettersi d'accordo con Flaminino respingendo con orgoglio e scaltrezza la petulante arroganza dei piccoli principi, e facendo pompa di una particolare deferenza pei Romani, come i soli avversari suoi pari, per ottenere da essi condizioni sopportabili.
Flaminino era abbastanza colto per sentirsi lusingato dalle gentilezze del vinto avversario e dall'orgoglio mostrato verso i confederati, ch'egli disprezzava non meno del re; ma le sue facoltà non erano tali da poter concedere quanto chiedeva Filippo: consentì ad un armistizio di due mesi mediante l'abbandono della Focide e della Locride, e quanto alla richiesta principale lo indirizzò al suo governo.
Nel senato romano era stato da lungo tempo stabilito che la Macedonia dovesse rinunciare a tutti i suoi possedimenti esterni. Quando gli ambasciatori di Filippo arrivarono a Roma si chiese loro soltanto se avevano facoltà di rinunciare a tutta la Grecia e particolarmente a Corinto, Calcide e Demetriade; sulla loro risposta negativa si troncarono subito le trattative e si decise di proseguire energicamente la guerra.
Coll'appoggio dei tribuni del popolo riuscì al senato di evitare la nociva sostituzione del comandante supremo e di prolungare la durata in carica di Flaminino, a cui furono inviati ragguardevoli rinforzi, ordinando ai due precedenti comandanti Publio Galba e Publio Villio di mettersi sotto i suoi ordini.
Anche Filippo decise di tentare un'altra volta la fortuna in una battaglia campale. Per assicurarsi la Grecia, ove allora tutti gli stati, ad eccezione degli Acarnani e dei Beoti, erano in armi contro di lui, fu aumentato a 6.000 uomini il presidio di Corinto, mentre egli stesso, raccogliendo le ultime forze dell'esausta Macedonia, ed ingrossando la falange coll'arruolare e ragazzi e vecchi, mise in piedi un esercito di circa 26.000 uomini, di cui 16.000 falangisti macedoni.
Così cominciò nel 557=197 la quarta campagna.
Flaminino mandò una parte della flotta contro gli Acarnani, i quali furono bloccati in Leucade; nella Grecia propriamente detta si impadronì con arte di Tebe, capitale della Beozia; per cui i Beoti si videro obbligati ad accedere, almeno di nome alla lega contro la Macedonia.
Soddisfatto di avere così interrotte le comunicazioni tra Corinto e Calcide, egli si volse a settentrione, dove soltanto poteva essere portato il colpo decisivo.
Le gravi difficoltà per vettovagliare l'esercito in un paese nemico ed in gran parte deserto, che già altre volte avevano paralizzato le operazioni, dovevano ora essere rimosse dalla flotta che seguiva l'esercito lungo la costa, apportandogli le vettovaglie che giungevano dall'Africa, dalla Sicilia e dalla Sardegna.
Senonchè il momento decisivo arrivò prima che Flaminino l'avesse sperato. Nella sua impazienza e pieno di fiducia, Filippo non poteva reggere al pensiero di aspettare il nemico sul confine della Macedonia, e, dopo d'aver raccolto il suo esercito presso Dione, entrò nella Tessalia valicando il passo di Tempe e nelle vicinanze di Scotussa si scontrò coll'esercito nemico.