4. Il paese dei Celti.
Una parte più importante nello sviluppo romano dell'occidente era serbata al paese che si estende fra i Pirenei ed il Reno, tra il Mediterraneo e l'oceano Atlantico, paese che dal tempo di Augusto porta il nome di paese dei Celti, o in particolare quello di Gallia, benchè osservando più precisamente, il paese dei Celti si presenti in parte più angusto, in parte molto più ampio, e benchè esso non abbia mai formato un'unità nazionale, e prima d'Augusto neppure un'unità politica.
Ed è appunto perciò difficile formare un quadro evidente delle condizioni in sè molto disparate, che Cesare nel 696 = 58 vi trovò all'atto del suo arrivo. Nel paese bagnato dal Mediterraneo, il quale comprendendo presso a poco all'occidente del Rodano la Linguadoca, all'oriente il Delfinato e la Provenza, era da sessant'anni provincia romana, le armi romane di rado avevano riposato dall'epoca dell'invasione cimbrica in poi, invasione che si era riversata anche su quella.
Nel 664 = 90 Caio Celio aveva combattuto coi Sali per il possesso di Aquae Sextiae, nel 674 = 80 Caio Flacco, durante la sua marcia verso la Spagna, contro altri cantoni celti. Quando nella guerra di Sertorio il luogotenente Lucio Manlio, costretto a portare soccorso al suo collega oltre i Pirenei, ritornò ad Ilerda (Lerida) sconfitto, e nella sua ritirata fu dagli Aquitani, vicini occidentali della provincia romana, vinto una seconda volta (verso il 676 = 78), pare che questi avvenimenti avessero prodotto una generale sollevazione dei provinciali, abitanti tra i Pirenei ed il Rodano, e fors'anche di quelli stanziati tra il Rodano e le Alpi.
Pompeo recandosi in Spagna dovette aprirsi una via colla spada attraverso la Gallia ribellata, e a punizione della ribellione fece dono delle marche abitate dai Volchi Arecomici e dagli Elviri (dip. Gard e Ardèche) ai Massalioti; il luogotenente Marco Fonteio (678-680 = 76-74) eseguì queste disposizioni e ricondusse l'ordine nel paese sconfiggendo i Voconzi (dip. Drôme), proteggendo Massalia dagli insorti e liberando la città capitale romana Narbona dai ribelli che l'investivano.
Senonchè la disperazione e il disagio economico, a cui erano ridotti i possedimenti gallici per le conseguenze della guerra spagnuola, e in generale delle concussioni ufficiali e non ufficiali dei Romani, impedivano che essi stessero tranquilli, ed era in un continuo sommovimento specialmente il cantone degli Allobrogi, più distante da Narbona, sommovimento provato dalla «pacificazione» impresa colà da Caio Pisone nell'anno 688 = 66 e dal contegno dell'ambasciata allobroga in Roma nel 691 = 63 in occasione del complotto degli anarchici, e che subito dopo irruppe in un'aperta rivoluzione (693 = 61).
Catugnato, condottiero degli Allobrogi in questa guerra disperata, dopo avere da principio combattuto con qualche successo, fu, dopo una valorosa difesa, vinto presso Solonium dal luogotenente Caio Pomptino.
Nonostante tutti questi combattimenti, i confini dello stato romano non furono molto dilatati: Lugudunum Convenarum, dove Pompeo aveva fondato una colonia coi resti dell'esercito di Sertorio, Tolosa, Vienna e Ginevra, erano sempre gli estremi confini dei Romani verso occidente e verso settentrione. Ma l'importanza di questi possedimenti gallici andava sempre più aumentando per la madre patria; il clima delizioso, affine allo italico, le favorevoli condizioni del suolo, il grande, ricco paese interno, così opportuno al commercio con le sue vie commerciali che si estendevano sino nella Brettagna, il comodo traffico per terra e per mare colla madre patria procurarono ben presto al paese gallico meridionale un'importanza economica per l'Italia quali possedimenti molto più antichi, come ad esempio gli spagnuoli, non avevano procurato in secoli.
Siccome in questo tempo i Romani compromessi politicamente cercavano un luogo di rifugio di preferenza in Massalia, ove ritrovavano coltura e lusso italico, così anche quelli, i quali emigravano volontariamente dall'Italia, affluivano sempre più sul Rodano e sulla Garonna.
In una narrazione scritta dieci anni prima dell'arrivo di Cesare in questo paese è detto: «la provincia della Gallia è piena di commercianti; essa formicola di cittadini romani. Nessun Gallo intraprende un affare senza mediazione di un Romano: ogni quattrino che in Gallia passa da una all'altra mano, è registrato nei libri dei conti dei cittadini romani».
Dalla stessa descrizione si rileva che nella Gallia, oltre i coloni narbonensi, v'erano in gran parte anche agricoltori ed allevatori di bestiame romani. Si deve però osservare, che la maggior parte del terreno provinciale posseduto dai Romani apparteneva, appunto come nei tempi passati la maggior parte dei possedimenti inglesi nell'America settentrionale, all'alta nobiltà che risiedeva in Italia, e che quegli agricoltori e quegli allevatori di bestiame nella maggior parte non erano altro che i suoi amministratori schiavi o liberti.