18. Uccisione di Clodio.
Ora accadde che non lungi dalla capitale, sulla via Appia, si scontrassero per caso Achille ed Ettore e che fra le due bande succedesse una mischia in cui Clodio riceveva un colpo di spada in una spalla, per cui fu costretto a rifugiarsi in una casa vicina. Ciò era avvenuto senz'ordine di Milone; essendo però la cosa arrivata al punto da doversi sostenere l'attacco, Milone giudicò che il delitto intero valesse meglio e che fosse anzi meno pericoloso che il mezzo delitto: ordinò quindi alla sua gente di strappare Clodio dal suo nascondiglio e di finirlo (13 gennaio 702 = 52).
I capi-popolo del partito degli autocrati, i tribuni del popolo Tito Munazio Planco, Quinto Pompeo Rufo e Caio Sallustio Crispo scorsero in questo avvenimento un plausibile pretesto per mandare a vuoto, nell'interesse dei loro padroni, la candidatura di Milone ed ottenere la candidatura per Pompeo.
La feccia del popolo, e specialmente i liberti e gli schiavi, avevano perduto in Clodio il loro protettore ed il futuro loro salvatore; non fu perciò difficile suscitare la desiderata reazione.
Dopo che l'insanguinato cadavere era stato esposto con pompa sulla tribuna del foro e che erano state pronunciate le orazioni di prammatica, il tumulto scoppiò. Per il rogo del grande liberatore era stata destinata la sede della perfida aristocrazia; la turba portò il cadavere nel senato ed incendiò il palazzo. La moltitudine si recò quindi dinanzi alla casa di Milone e la tenne assediata fintantochè la sua banda non scacciò gli assedianti a colpi di freccia. Poi andò dinanzi la casa di Pompeo e dei suoi candidati consolari, salutando quello come dittatore e questi come consoli, e di là innanzi all'abitazione dell'interré Marco Lepido, al quale incombeva la direzione delle elezioni consolari.
Siccome questi, com'era suo dovere, si rifiutava di farle eseguire immediatamente come esigevano le urlanti masse, fu anch'egli tenuto assediato per cinque giorni nella sua abitazione.