3. Esecuzioni.
Silla non aveva nè cercato nè desiderato il grave e spaventoso còmpito della restaurazione; ma quando non gli rimase altro partito che di abbandonarlo ad uomini assolutamente inetti o di assumere egli stesso il carico, l'afferrò e l'eseguì con energia.
Anzitutto si doveva stabilire una massima per il trattamento dei colpevoli.
Silla per sè stesso inclinava al perdono. Di temperamento sanguigno qual era, provocato montava facilmente in furore, e chi vedeva fiammeggiare i suoi occhi e farsi rosse le sue guance a ragione doveva tremare; ma malgrado l'impetuoso suo temperamento non era dominato dalla rabbiosa sete di vendetta, come Mario che ne era invece invasato nelle amarezze degli ultimi suoi anni. Non solo dopo la rivoluzione del 666 egli si era mostrato relativamente assai mite, ma nemmeno la seconda rivoluzione, che lo aveva tocco così sensibilmente, e la quale aveva commesso tanti orrori, non lo fece dare in escandescenze.
Mentre il carnefice trascinava i corpi de' suoi amici per le vie della capitale, egli si sforzò di salvare la vita a Fimbria, già macchiato di sangue; ed essendosi il medesimo data spontaneamente la morte, ordinò che il suo cadavere venisse decentemente seppellito.
Al suo sbarco in Italia egli aveva sinceramente offerto perdono ed oblio, nè alcuno, venuto a lui a chieder pace, fu respinto.
Anche dopo i suoi primi successi egli aveva trattato in questo nodo con Lucio Scipione; fu il partito della rivoluzione che non solo ruppe queste trattative, ma dopo averle rotte, nell'ultimo momento prima della sua caduta, ricominciò il macello e più orribilmente che mai, essendosi anche accordato con i più antichi nemici della patria per la distruzione di Roma.
Ora il vaso era colmo. In forza del suo nuovo potere, Silla, non appena assunto il governo, dichiarò nemici della patria e fuori della legge tutti gli ufficiali civili e militari, i quali, dopo il trattato secondo lui validamente concluso con Scipione, avessero ancora favorito la rivoluzione, e quelli tra i cittadini che l'avessero apertamente promossa.
Chi ammazzasse uno di questi proscritti andava non solo impunito come il carnefice che fa regolarmente un'esecuzione, ma riceveva pure un premio di 12.000 denari (L. 12.750); chi al contrario prendesse a proteggere un proscritto, fosse pure il suo più prossimo parente, incorreva nelle più gravi pene.
Le sostanze dei proscritti erano devolute allo stato come preda di guerra; i loro figli e nipoti furono esclusi dalla carriera politica, ma se avevano rango senatorio erano tuttavia obbligati a concorrere per la loro parte ai pesi incombenti ai senatori.
Queste misure erano applicate ai beni ed agli eredi di coloro che erano morti in guerra per la rivoluzione; il che sorpassava persino le punizioni che nel più antico diritto erano state ordinate contro coloro che colle armi avevano assalita la patria.