27. Cesare si trasferisce in Tessalia.
Pompeo aveva vinto; toccava a lui prendere l'offensiva, ed egli vi era risoluto. Tre diverse vie gli si presentavano per rendere proficua la vittoria. La prima e la più semplice era quella di non perdere di vista l'esercito vinto e di mettersi in marcia per inseguirlo. Pompeo poteva inoltre lasciare in Grecia Cesare col fiore delle sue truppe e passare, come da lungo tempo ne aveva il pensiero, con l'esercito principale in Italia, dove lo spirito pubblico era decisamente antimonarchico e dove le forze di Cesare, dopo l'invio in Grecia delle migliori sue truppe e del valoroso e fidato comandante in rinforzo dell'esercito greco, non erano tanto ragguardevoli.
Il vincitore poteva infine internarsi anche nel paese, tirare a sè le legioni di Metello Scipione e tentare di far prigioniere le truppe di Cesare stanziate nel paese interno.
Per procurarsi i mezzi di sussistenza, Cesare aveva, immediatamente dopo l'arrivo del secondo trasporto delle sue truppe, inviati forti distaccamenti nell'Etolia e nella Tessaglia, e fatto precedere un corpo di due legioni, comandato da Gneo Domizio Calvino, sulla via egnazia verso la Macedonia, coll'ordine di chiudere il passo al corpo di truppe comandato da Scipione, che avanzava sulla stessa via venendo da Tessalonica, e possibilmente di sconfiggerlo isolatamente.
Calvino e Scipione erano ormai a poche leghe di distanza l'uno dall'altro, quando Scipione improvvisamente volse verso mezzodì, e, passato in fretta l'Aliacmone (Jadsche Karasu) e lasciate colà le salmerie sotto la custodia di Marco Favonio, entrò nella Tessalia per assalire con maggiori forze la legione di Cesare, formata di reclute e comandata da Lucio Cassio Longino, occupato a compiere la sottomissione del paese.
Ma Longino varcando i monti si ritirò in Ambracia per unirsi al distaccamento speditovi da Cesare, comandato da Gneo Calvisio Sabino, e Scipione non lo potè fare inseguire che da' suoi cavalieri traci, poichè Calvino minacciava la sua riserva, lasciata indietro sotto Favonio sull'Aliacmone, della stessa sorte che egli stesso pensava preparare a Longino.
Calvino e Scipione si trovarono perciò insieme sulle sponde dell'Aliacmone, ove rimasero accampati per molto tempo, l'uno di fronte all'altro. Pompeo aveva da scegliere fra questi due piani; Cesare non aveva alcuna scelta. Dopo quell'infelice combattimento, egli si ritirò in Apollonia. Pompeo gli tenne dietro.
La marcia da Durazzo ad Apollonia su una via tagliata da parecchi fiumi non era un'impresa tanto facile per un esercito sconfitto ed inseguito dal nemico, ma la sagacità del generale e l'instancabilità dei soldati obbligarono Pompeo a sospendere l'inseguimento dopo il quarto giorno perchè inutile.
Egli doveva ora scegliere tra la spedizione italica e la marcia nell'interno del paese, e per consigliabile ed attraente che fosse la prima alternativa e per quanto fosse sostenuta da parecchi voti, egli preferì però di non abbandonare il corpo di truppe di Scipione, tanto più che egli con questa marcia sperava di recare in suo potere quello comandato da Calvino.
Questi si trovava allora sulla via egnazia presso Eraclea Lincestide tra Pompeo e Scipione, e, dopo la ritirata di Cesare in Apollonia, più lontano da questi che non dal grande esercito di Pompeo; aggiungasi, che egli ignorava gli avvenimenti presso Durazzo e la difficile sua posizione, poichè dopo gli ottenuti successi presso quella città tutta la provincia si era pronunciata per Pompeo e i messi di Cesare erano stati dappertutto fatti prigionieri.
Soltanto quando il grosso dell'esercito nemico si trovava a poche ore distante da lui, Calvino seppe lo stato delle cose dalle relazioni degli avamposti nemici. Una celere marcia verso la Tessalia lo salvò in questo momento estremo dalla minacciante rovina; Pompeo dovette accontentarsi di avere liberato Scipione dalla sua pericolosa posizione.
Cesare era intanto arrivato felicemente in Apollonia. Dopo la catastrofe presso Durazzo egli si era deciso di portare il teatro della guerra lontano dalla costa, nel paese interno, onde porre fuori di giuoco la flotta nemica, causa principale per cui tutti i suoi sforzi erano andati falliti.
La marcia verso Apollonia non aveva avuto altro scopo che quello di mettere in salvo i feriti dove si trovavano i suoi depositi, e di corrispondere il soldo alle sue genti; appena fatto ciò, lasciati presidî in Apollonia, in Orico e in Lisso, egli si mise tosto in marcia per la Tessalia. A questa volta muoveva anche il corpo capitanato da Calvino, ed i rinforzi provenienti dall'Italia, che ora si trovavano in marcia per la via di terra attraversando l'Illiria, consistenti in due legioni comandate da Quinto Cornificio, potevano più facilmente congiungersi con lui in questo paese che non nell'Epiro.
Per difficili sentieri nella valle bagnata dall'Aoos, risalendo questo fiume e varcando la catena dei monti che dividono l'Epiro dalla Tessalia, Cesare arrivò al fiume Peneo; qui doveva pure giungere Calvino e avvenire l'unione dei due eserciti essendo questa la via più breve e meno esposta al nemico. L'unione avvenne presso Aeginion, non lungi dalla sorgente del Peneo.
La prima città tessalica che incontrò l'esercito ora riunito, Gonfi, gli chiuse le porte; fu immediatamente presa d'assalto e abbandonata al sacco, e dopo tale esempio le altre città della Tessalia si sottomisero appena le legioni di Cesare si mostrarono sotto le mura. Queste marce e questi combattimenti, insieme ai mezzi di sussistenza sebbene scarsi, che offriva la provincia bagnata dal Peneo, fecero a poco a poco dimenticare i passati giorni calamitosi.
Le vittorie riportate a Durazzo non dettero quindi molti frutti immediati per i vincitori. Col pesante suo esercito e colla numerosa sua cavalleria, Pompeo non potè seguire sulle montagne le leggere truppe nemiche; tanto Cesare quanto Calvino si erano quindi sottratti all'inseguimento e si trovavano uniti e in tutta sicurezza nella Tessalia. Pompeo l'avrebbe forse indovinata se si fosse senz'altro imbarcato e recato in Italia col grosso del suo esercito, dove il suo successo non era da porsi in dubbio. Ma alla volta della Sicilia e dell'Italia fu allora spedita una divisione della flotta.
Nel campo della coalizione si considerava la sorte di Cesare completamente decisa colla battaglia presso Durazzo, e si riteneva che ormai non si trattasse che di raccogliere i frutti delle riportate vittorie, cioè di rintracciare e di finire l'esercito sconfitto. Invece dell'eccessiva ritenutezza serbata fino ad allora, si assunse una baldanza che le circostanze rendevano ancora meno giustificabile; non si pose mente che l'inseguimento era andato fallito, che si doveva attendere di trovare nella Tessalia un esercito interamente rinvigorito e riorganizzato e che non si andava incontro a pochi rischi allontanandosi dal mare e dai soccorsi della flotta, per seguire l'avversario nel campo di battaglia da esso prescelto.
Si decise di venire a qualsiasi costo alle mani con Cesare e di raggiungerlo al più presto possibile e nel modo possibilmente il più acconcio. Catone assunse il comando di Durazzo dove si trovava un presidio di 18 coorti, e di Corcira dove erano rimaste trecento navi da guerra; Pompeo e Scipione si portarono sul basso Peneo – Pompeo, come pare, per la via egnazia sino a Pella, poi battendo la grande via verso mezzodì, Scipione partendo dall'Aliacmone e attraversando l'Olimpo, e si rincontrarono presso Larissa.