22. Il partito delle riforme .
Il partito delle riforme ci si mostra quasi personificato inMarco Porcio Catone (520-605=234-l49).
Catone, l'ultimo grand'uomo di stato dell'antico sistema, poichè propugnava il solo possesso dell'Italia ed avversava l'espansione nel mondo, fu, in seguito, tenuto quale modello del vero Romano dell'antica tempra; con maggior giustizia esso potrà essere considerato quale rappresentantel'opposizione del ceto medio romano contro la nuova nobiltà elleno-cosmopolita.
Educato all'aratro, fu trascinato nella carriera politica da Lucio Valerio Flacco suo confinante, uno dei pochi nobili contrari all'andamento delle cose di quel tempo.
Questo ruvido agricoltore della Sabina parve all'onesto patrizio l'uomo atto ad opporsi alla corrente del tempo, e Flacco non s'ingannò.
Sotto la sua egida, e servendo, secondo il buon costume antico, col consiglio e coll'opera i suoi concittadini e la repubblica, Catone si elevò al consolato, agli onori del trionfo, e persino alla censura.
Entrato a diciassette anni nella milizia cittadina, egli fece tutta la guerra annibalica incominciando dalla battaglia del Trasimeno sino alla giornata di Zama, sotto gli ordini di Marcello e di Fabio, di Nerone e di Scipione, e quale milite, ufficiale di stato maggiore e generale, egli si dimostrò egualmente valoroso presso Taranto e presso Sena, in Sardegna, in Spagna ed in Macedonia.
Intrepido sul campo di battaglia, intrepido nel foro, la coraggiosa e pronta sua parola, le sue ruvide, ma pungenti arguzie, le sue cognizioni del diritto romano e la sua pratica delle condizioni del paese, l'incredibile sua speditezza e la ferrea sua costituzione fisica, ne sparsero presto la fama nelle città vicine, e dopo aver fatta la sua apparizione in un campo più vasto, nel foro e nella curia della capitale, fu giudicato il giureconsulto più capace ed il più grande oratore dei suoi tempi.
Egli prese il tono, che prima di lui aveva preso Manio Curio, suo ideale fra gli uomini di stato romani; egli, impiegò tutta la sua lunga vita ad impedire onestamente, e secondo la sua concezione, la decadenza che si andava diffondendo, e ancora nel suo ottantacinquesimo anno ebbe a sostenere nel foro romano parecchie battaglie contro il nuovo spirito dei tempi.
Catone era tutt'altro che bello – i suoi nemici sostenevano che avesse occhi verdi e capelli rossi –, non era un grand'uomo e meno ancora un uomo di stato perspicace.Aveva una limitata visione della politica e della morale, avendo costantemente sotto gli occhi e sulle labbra l'ideale del buon tempo antico, e un ostinato disprezzo di ogni innovazione.
Legittimando colla severità verso se stesso la spietata sua mordacità e durezza contro tutto e contro tutti, onesto ed onorevole, ma senza il sentimento di un dovere trascendente l'ordine di polizia e l'onestà commerciale; nemico di ogni ribalderia e di qualsiasi bassezza al pari che di ogni eleganza e di ogni raffinatezza, e prima di tutto nemico dei suoi nemici, Catone non fece mai un tentativo per arginare le sorgenti del male, e non ha mai combattuto che contro i sintomi e particolarmente contro le persone.
I nobili al potere guardavano con alterigia questo vociferatore plebeo, e non a torto si ritenevano essi di gran lunga a lui superiori; ma la corrotta ed elegante gioventù, nel senato e fuori, tremava alla presenza del vecchio censore dei costumi, del fiero repubblicano, del veterano della guerra annibalica coperto di cicatrici, al cospetto del senatore influentissimo e del difensore dei contadini romani.
Egli rinfacciava pubblicamente ad ognuno dei suoi nobili colleghi, la somma dei loro trascorsi, non senza addurne scrupolosamente le prove, e ben inteso con particolare piacere s'accaniva contro coloro che lo avevano personalmente ostacolato ed irritato.
Colla stessa imperturbabilità deplorava pubblicamente anche i cittadini per ogni nuova disonestà e per ognieccesso.
Le sue amare invettive gli procacciarono innumerevoli nemici, e visse in guerra aperta ed implacabile con i più potenti partiti della nobiltà di quel tempo e particolarmente cogli Scipioni e con i Flaminini. Fu accusato pubblicamente quarantaquattro volte. Ma nelle votazioni i contadini non dimenticarono giammai l'imperterrito propugnatore delle riforme – e questo prova quanto allora fosse ancora potente nel medio ceto dei Romani quello spirito che aveva fatto sopportare la giornata di Canne – anzi, quando nel 570=184 Catone, col nobile suo partigiano Lucio Flacco, sollecitò la carica di censore e annunziò anticipatamente che essi intendevano di fare, in quest'ufficio, una purificazione radicale dei cittadini in tutti i ranghi ed in tutte le classi, i cittadini elessero a quella carica i due uomini così temuti malgrado gli sforzi della nobiltà, la quale dovette sopportare in pace che si facesse effettivamente il grande repulisti, e che fossero, fra tanti altri, radiati dalla lista dei cavalieri il fratello dell'Africano, e dalla lista dei senatori il fratello del liberatore dei Greci.
Per quanto lodevole fosse il sentimento da cui derivava questa lotta contro le persone, e per il quale si ripetevano i molti tentativi fatti per reprimere colla giustizia e colle leggi di polizia lo spirito del tempo, non si poteva però che arrestare per poco la corrente della corruzione; e se è degno di essere osservato che, malgrado questi ostacoli, o, per dir meglio, in grazia dei medesimi, Catone abbia potuto continuare a rappresentare la sua parte politica, merita ugualmente di essere notato che, nè fu possibile allontanare dalla scena i corifei della parte avversaria, nè a questi allontanare lui, e che i processi di sindacato, portati da esso e dal suo collega dinanzi ai cittadini, rimasero, per lo meno nei casi d'importanza politica, assolutamente senza effetto, come senza effetto erano rimaste le accuse portate contro Catone.
Nè di molto maggiore effetto furono le leggi di polizia promulgate in gran copia col preciso scopo di porre un freno al lusso e d'introdurre l'economia e l'ordine nelle famiglie.
Di alcune di queste leggi parleremo trattando della economia pubblica.