19. Dissensi nel campo sertoriano.
Però questo paragone era più arguto che giusto. Sertorio non aveva forze sufficienti per rinnovare la gigantesca impresa di Annibale; se lasciava la Spagna egli era perduto, giacchè tutti i suoi successi dipendevano dal carattere del paese e della popolazione, e qui stesso egli si vedeva ogni giorno semprepiù obbligato a rinunciare all'offensiva.
La sua meravigliosa bravura nel comando non poteva cambiare la qualità delle sue truppe; la leva in massa spagnola rimase, come era, instabile come le onde e come il vento, ora sommando fino a 150.000 uomini, ora ridotta ad un pugno di gente; gli emigrati romani rimanevano nello stesso modo insubordinati, orgogliosi e testardi.
Quindi le armi che esigevano una lunga permanenza nel servizio, come la cavalleria, erano rappresentate nel suo esercito in modo insufficiente.
La guerra andava consumando i suoi migliori ufficiali e il nerbo dei suoi veterani, ed anche i comuni più fedeli, stanchi delle vessazioni dei romani e del cattivo trattamento degli ufficiali di Sertorio, cominciavano a dare segni d'impazienza ed a vacillare nella loro fede.
È degno d'essere notato che Sertorio, anche in ciò come Annibale, non si era mai ingannato dello stato disperato della sua posizione e non trascurò nessuna occasione per venire ad un componimento, pronto ad ogni momento a deporre il bastone del comando contro l'assicurazione di poter vivere tranquillamente nella sua patria. Ma l'ortodossia non conosce nè componimento nè riconciliazione. Sertorio non poteva nè indietreggiare nè battere vie traverse; era costretto a proseguire inevitabilmente sulla via che s'era tracciata, per quanto essa divenisse sempre più angusta e vertiginosa.
A Roma le ragioni di Pompeo, alle quali l'esempio di Mitridate, minacciante in oriente, dava maggior forza, ebbero successo. Egli ottenne finalmente che il senato gli mandasse i denari necessari e un rinforzo di due nuove legioni.
Così i due generali nella primavera del 680 = 74 ripresero il lavoro, e ripassarono nuovamente l'Ebro. La Spagna orientale era tolta ai sertoriani in conseguenza delle battaglie di Xucar e del Guadalaviar; la lotta quindi si concentrava sull'Ebro superiore e medio, intorno ai posti principali dei sertoriani: Calagurris, Osca, Ilerda.
Metello ottenne anche qui, come nelle prime campagne, i più importanti successi. Il suo antico avversario Irtuleio, che gli era di nuovo venuto contro, fu completamente battuto, e cadde insieme a suo fratello; fu una perdita irreparabile per i sertoriani.
Sertorio, cui giunse la funesta notizia, proprio mentre era in procinto di attaccare i nemici che gli stavano di fronte, uccise il messo, perchè la notizia non scoraggiasse i suoi; ma la nuova non si poteva nascondere a lungo. Una dopo l'altra le città si arresero. Metello occupò le città celtibere di Segobriga (fra Toledo e Cuenca) e di Bilbilis (presso Calatayud). Pompeo assediò Pallanzia (Palencia, al disopra di Valladolid), ma Sertorio vi accorse in aiuto ed obbligò Pompeo a ripiegare verso Metello; dinanzi a Calagurris (Calahorra, sull'Ebro superiore), dove pure si era lanciato Sertorio, entrambi ebbero a soffrire rilevanti perdite. Pure quando andarono ai quartieri d'inverno, Pompeo in Gallia, Metello nella sua provincia, poterono entrambi considerare i loro non scarsi successi: una gran parte degli insorti si era sottomessa, o era stata soggiogata con la forza delle armi.
Nella stessa maniera passò la campagna dell'anno seguente, 681 = 73; in questa fu specialmente Pompeo quegli che restrinse lentamente ma continuamente il campo dell'insurrezione. Non mancò nel campo degli insorti il contraccolpo della sconfitta delle armi.