4. Guerra tra Roma e Cartagine.
Si trattava ora di sapere come le due potenze siciliane, fino allora alleate con Roma solo di nome, colpite più da vicino da questo intervento dei Romani negli affari dell'isola, avrebbero accolta questa intromissione. Gerone avrebbe avuto diritto di accogliere l'intimazione fattagli dai Romani, di desistere dalle ostilità contro i loro nuovi alleati di Messana, a quel modo stesso che, in caso analogo, i Sanniti ed i Lucani avevano accolto l'occupazione di Capua e di Turio, e di rispondere ai Romani con una dichiarazione di guerra; ma se egli fosse rimasto solo, il dichiarare guerra ai Romani sarebbe stata una follia, e ben si doveva aspettare dalla previdente e sana sua politica che egli avrebbe fatto di necessità virtù quando Cartagine si fosse tenuta tranquilla.
Ciò non pareva impossibile. Allora (489 =265), sette anni dopo il tentativo fatto dalla flotta fenicia per impadronirsi di Taranto, un'ambasciata romana fu mandata a Cartagine per chiedere conto di questo fatto; le fondate, ma quasi dimenticate lagnanze risorsero tutto ad un tratto, e non parve inutile, mentre si stavano apprestando le armi per la guerra, di ripescare anche nell'arsenale diplomatico pretesti e argomenti per giustificarla e per poter bandire al mondo, come solevano fare i Romani, ch'essi erano stati provocati e tirati pei capelli. Ad ogni modo si poteva dire con tutta ragione che il tentativo di sorprendere Taranto non era nè più leale nè più disinteressato dell'impresa di Messana, e che l'un fatto non differiva dall'altro che per il successo.
Cartagine si guardò bene dal venire ad un'aperta rottura. Gli ambasciatori ritornarono a Roma coll'assicurazione che l'ammiraglio cartaginese era stato disapprovato per l'accaduto di Taranto e dopo aver ottenuto le bugiarde proteste e gli spergiuri che avevano cercato. I Cartaginesi neppure risposero con alterigia, anzi perfino le recriminazioni, che naturalmente non potevano mancare, furono moderate, e non si parlò neppure della meditata invasione della Sicilia come d'un caso di guerra.
E nondimeno il caso di guerra c'era: giacchè i Cartaginesi consideravano gli affari della Sicilia come i Romani quelli d'Italia, cioè questioni interne, in cui una potenza indipendente non può permettere ingerenze straniere.
E Cartagine era ben risoluta a ciò; ma la politica fenicia procedeva cautamente e non metteva innanzi un'importuna sfida di guerra.
Ma quando Roma aveva già quasi ultimato i preparativi, e l'esercito destinato a soccorrere i Mamertini era sulle mosse, e radunata la flotta composta di navi di Napoli, Taranto, Velia e Locri, quando già l'avanguardia romana, capitanata dal tribuno militare Gaio Claudio era comparsa a Reggio (primavera 490=264), giunse da Messana l'inaspettata novella, che i Cartaginesi, d'accordo col partito antiromano di quella città, avevano, come potenza neutrale, negoziato una pace tra Gerone ed i Mamertini, che quindi l'assedio era levato e nel porto di Messana aveva dato fondo una flotta cartaginese, e un presidio pure cartaginese era nel castello, l'una e l'altro sotto gli ordini dell'ammiraglio Annone. I Mamertini, posti ormai sotto l'influenza cartaginese, fecero dire ai generali romani, non senza rendere loro grazie per il sollecito aiuto federale inviato, che fortunatamente non ne avevano più bisogno.
Il destro e temerario duce, che comandava l'avanguardia dei Romani, si mise ciò non pertanto alla vela colle sue truppe; ma i Cartaginesi respinsero le navi romane e ne presero parecchie, che il loro ammiraglio, memore degli ordini severi di non dare alcun motivo di dichiarar guerra, rimandò ai buoni amici al di là dello stretto. Parve quindi che i Romani dinanzi a Messana si fossero tolta la maschera tanto inutilmente come i Cartaginesi dinanzi a Taranto.
Ma Claudio non si lasciò spaventare ed in un secondo tentativo gli riuscì di traghettare l'esercito oltre il Faro. Appena approdato convocò i cittadini e per suo invito vi intervenne anche l'ammiraglio cartaginese, sempre desideroso di evitare un'aperta rottura.
Ma in quell'adunanza stessa i Romani si impadronirono di Annone, che fu tanto codardo da lasciarsi dettar l'ordine al presidio di cedere il castello ai Romani; e con pari codardia il presidio cartaginese, debole e abbandonato a se stesso, ubbidì all'ordine del generale prigioniero, e sgombrò la città. Così questa testa di ponte dell'isola cadde nelle mani dei Romani.
Indignato, e a ragione, della imprevidenza e della fiacchezza del suo generale, il governo cartaginese lo fece morire e dichiarò guerra ai Romani. Anzitutto era necessario riprendere la fortezza perduta. Una numerosa flotta cartaginese, comandata da Annone, figlio d'Annibale, comparve davanti a Messana, e mentre le navi chiudevano lo stretto, l'esercito cartaginese, sbarcato sulla costa settentrionale, mise l'assedio a Messana.
Gerone, il quale non aspettava altro che l'attacco dei Cartaginesi per iniziare le ostilità contro Roma, ricondusse l'esercito sotto Messana e, ricominciato l'assedio appena interrotto, investì la città dalla parte di mezzogiorno.
Ma nel frattempo era comparso in Reggio anche il console Appio Claudio Caudex col grosso dell'esercito e in una notte oscura effettuò il passaggio malgrado la presenza della flotta cartaginese. L'audacia e la fortuna favorirono i Romani: gli alleati, non essendosi preparati a sostener l'urto di tutto l'esercito romano, e trovandosi sparsi all'assedio, furono battuti alla spicciolata dalle legioni che uscivano ordinate dalla città, per cui l'assedio fu tolto.
L'esercito romano rimase in campo durante tutta l'estate, e fece perfino un tentativo contro Siracusa; ma essendo questo andato fallito, e avendo dovuto rinunziare anche all'assedio di Echetla (posta sui confini dei territori di Siracusa e di Cartagine) fece ritorno a Messana, e lasciatovi un forte presidio, ripassò in Italia.
Sembra che i successi di questa prima campagna fuori del continente non abbiano interamente corrisposto all'aspettazione dei Romani, poichè al console non furono consentiti gli onori del trionfo; ma ciò non pertanto le forze spiegate in quest'occasione dai Romani in Sicilia non potevano non fare una grandissima impressione sugli animi dei Greci colà stabiliti.
L'anno seguente entrambi i consoli sbarcarono senza alcuna difficoltà con un doppio esercito. Uno di essi, Marco Valerio Massimo, che dopo questa campagna fu detto «il Messanese» (Messalla), riportò una splendida vittoria sugli alleati cartaginesi e siracusani.
Dopo questa battaglia l'esercito fenicio non si trovò più in grado di tener la campagna e fronteggiare all'aperto i Romani, onde vennero in potere di quest'ultimi non solo Alaesa, Centuripae e quasi tutte le piccole città greche, ma lo stesso Gerone abbandonò il partito cartaginese e chiese pace e alleanza ai Romani (491=263).