12 . Architettura e plastica.
Le opere d'architettura e di plastica, strettamente connesse colle scienze meccaniche, danno un'alta idea di ciò che anche in questa sfera gli Italici furono in grado di fare.
Noi, a dir vero, non troviamo nemmeno in queste produzioni opere originali, ma se per la nota di plagio, che si manifesta in quasi tutte le opere della plastica italiana, ne viene notevolmente diminuita l'importanza artistica, ne cresce d'altrettanto l'importanza storica sia che si vogliano desumere da queste opere le più meravigliose testimonianze di relazioni di civiltà e di pensiero, delle quali non ci è rimasta alcun'altra traccia, sia che vi si cerchi una certa rappresentazione, e quasi diremmo statistica, delle diverse popolazioni italiche, quand'esse fiorivano ancora nella pienezza della loro attività le une presso le altre; dal qual tempo, stante il quasi totale naufragio della storia dei popoli italici non romani, non giunse a noi quasi altro documento che questo dei vasi e delle opere plastiche.
Ma questa è materia in cui non vi è nulla di nuovo da dire: nondimeno, studiandola, si può con maggiore evidenza, e su più larghe basi, dimostrare ciò che abbiamo già detto più sopra, che cioè l'influenza greca si sia insinuata efficacemente e per diverse vie tra gli Etruschi e gli Italici e abbia ravvivato l'arte presso gli uni a una produzione più ricca e più lussuosa, presso gli altri ad un'imitazione più intelligente e più intima.
Abbiamo già osservato come l'architettura di tutti i paesi italici fosse, fin dai più antichi tempi, impregnata di elementi ellenici. Le mura delle città, le costruzioni idrauliche, e i sepolcri coperti piramidalmente, lo stesso tempio toscano, non differiscono dagli antichi edifici greci, o, se ne differiscono, non è certo in alcun che di sostanziale.
Non vi è traccia, o almeno non giunse a noi alcuna prova, che durante quest'epoca presso gli Etruschi l'architettura avesse progredito d'un passo verso la sua perfezione; non vi si trova introdotta nè un'essenziale novità nè una creazione originale – a meno che non si volesse considerare come tale la pompa dei sepolcreti, di cui ci offre un esempio il cosiddetto mausoleo di Porsena a Chiusi, descrittoci da Varrone, che ci sforza a ricordare la portentosità senza scopo delle piramidi egizie.
Anche nel Lazio, durante il primo secolo e mezzo della repubblica, non si fece nell'arte dell'edificare alcun passo; e abbiamo anzi notato che dopo l'istituzione della repubblica, la pratica di quest'arte non solo non migliorò, ma sembrò decadere. Di fatti non si conosce nemmeno un'opera ragguardevole d'architettura latina appartenente a quell'età, salvo il tempio di Cerere edificato in Roma presso il circo l'anno 261 = 493, il quale, ai tempi degli imperatori, era considerato come paragone dello stile toscano. Ma verso la fine di quest'epoca un nuovo spirito venne destandosi nell'architettura italica, e particolarmente nella romana, con la grandiosa costruzione dell'arco.
Noi, veramente, non abbiamo alcuna autorità per affermare che l'arco e la volta siano invenzioni italiche. È bensì provato, che all'epoca della genesi dell'architettura ellenica, gli Elleni non conoscevano ancora l'arco e che perciò dovettero accontentarsi per i loro templi del solaio piano e dei tetti ad angolo; ma l'arco può benissimo essere una più recente invenzione degli Elleni nata dalla meccanica razionale; e infatti la tradizione greca lo attribuisce al fisico Democrito (294 = 460, 397 = 357).
Quando si riconosca la priorità dei Greci anche nelle costruzioni arcuate, si può benissimo ritenere ciò che per molti argomenti, e forse con buon fondamento di ragione, molti sostengono, che le volte della cloaca massima romana e la volta che fu murata per coprire l'antico pozzo capitolino, il quale in origine aveva una tettoia piramidale, siano i più antichi edifici conservati, nei quali sia stato applicato il metodo dell'arco, sembrando più che verosimile che queste costruzioni con archi non siano dell'epoca dei re, ma che appartengano all'epoca repubblicana; giacchè all'epoca dei re, anche in Italia, non si conoscevano se non tetti piani o acuminati.
Ma sia pure quale si voglia l'opinione sull'invenzione dell'arco, ciò non toglie che la sua applicazione in grandi proporzioni è per la scienza, in generale, e per l'arte architettonica in particolare tanto importante, quanto la prima invenzione: e nessuno potrà negare che questa applicazione appartenga ai Romani.
Col quinto secolo comincia la costruzione delle porte, dei ponti e degli acquedotti basata essenzialmente sul sistema dell'arco, e questo modo di costruzione conservò d'allora in poi il nome di costruzione romana.
Contemporaneo al medesimo è lo sviluppo della forma dei templi circolari e delle cupole, ignota ai Greci, e invece prediletta ai Romani, specialmente per gli edifici consacrati alle loro religioni indigene e diverse dalle greche, come ad esempio quella di Vesta[13].
Si potrebbe pure aggiungere qualche altra osservazione analoga a quelle cui già accennammo fin qui, e notare qualche altro progresso nell'esecuzione dell'opera, secondario certamente, ma pure meritevole che se ne tenga conto. Non vogliamo con ciò parlar di originalità o di pratica artistica; ma l'indistruttibile solidità delle opere romane si manifesta anche nei riquadri di pietra strettamente conservati nel lastrico delle vie, nelle solidissime ed imperiture strade militari, nei larghi, forti e risuonanti mattoni e nel cemento, di eterna durata, degli edifici.