8.Superstizione nazionale e straniera.
La vecchia religione nazionale andava così visibilmente declinando; e a mano a mano che si andavano abbattendo le gigantesche piante dalle foreste vergini, il suolo si copriva di lussureggianti rovi e di erbacce che fino allora non si erano mai vedute.
La superstizione nazionale e la pseudo-filosofia straniera a volte si confondevano, altre si secondavano, altre si osteggiavano.
Nessuna popolazione italica si sottrasse a questa trasformazione dell'antica fede nelle nuove superstizioni.
Come presso gli Etruschi la scienza degl'intestini e delle folgori, così presso i Sabelli, e particolarmente presso i Marsi, era in gran voga quella del volo degli uccelli e quella dei serpenti.
Noi troviamo simili fenomeni persino presso i Latini, ed in Roma stessa, benchè comparativamente con minor frequenza.
Di questa specie erano, per esempio, le sentenze di Preneste e la famosa scoperta fatta in Roma nel 573=181 della tomba e degli scritti postumi di Numa, i quali, si dice, prescrivessero inauditi e strani riti religiosi; ma i creduli, per loro mala ventura, non seppero nulla più di questo, come non seppero che i libri avessero l'aspetto di essere stati scritti molto recentemente, poichè il senato s'impossessò del cimelio e fece senz'altro gettare alle fiamme gli scritti.
La produzione indigena bastava pienamente a soddisfare qualsiasi bisogno di assurde stranezze; ma i Romani erano lungi dall'accontentarsene.
L'ellenismo di quell'epoca, che traboccava di misticismo orientale, introdusse in Italia, coll'irreligione, anche la superstizione nelle più accese e pericolose sue forme, e questa vertigine, appunto perchè d'origine straniera, aveva una speciale attrattiva.