9 Oneri dei cittadini.
Ognun sa che l'economia dello stato si appoggia sull'intera cittadinanza. La più importante prestazione del cittadino era il servizio militare, poichè i soli cittadini avevano il diritto ed il dovere di portare le armi. I cittadini sono nello stesso tempo i guerrieri (populus, affine con populari, devastare: popa, il ministro che scanna le vittime); e «uomini astati» (Quirites) come li chiama il re quando ad essi parla. Si è già detto in qual modo l'esercito di attacco, la legione, sia stata formata. Nel tripartito comune romano essa consisteva in tre centinaia (centuriae) di cavalieri (celeres) sotto il comando dei tre condottieri dei cavalieri (tribunus celerum), e di tre migliaia di fanti (milites) al comando di tre capi di divisione della fanteria (tribuni militum). Quest'ultima era certamente il perno della milizia comunale. Il re stesso ne era regolarmente il generale. Oltre al servizio militare potevano toccare al cittadino altre prestazioni personali, come la coltivazione dei campi del re o la costruzione degli edifici pubblici, ed il dovere di eseguire gli ordini reali in guerra e in pace.
Non vi erano regolari imposizioni dirette, come non vi erano spese pubbliche ordinarie dirette. Per sostenere il carico delle spese comunali non erano necessarie imposte, poichè lo stato non accordava alcun compenso nè pel servizio militare nè per le prestazioni personali in oggetti di pubblico servizio; ma quando si rendeva necessario un compenso, esso veniva fornito o dal consorzio a cui incombeva il carico dell'opera o dall'individuo che non poteva o non voleva prestar l'opera sua, a colui che sottentrava in sua vece.
Le vittime necessarie pel servizio divino si procacciavano col mezzo delle multe processuali, poichè colui, il quale soccombeva in un processo regolare, pagava allo stato una multa in bestiame (sacramentum) in proporzione all'oggetto contestato. Non è fatta menzione di doni prestabiliti che i cittadini dovessero al re. Ma pare che i non cittadini domiciliati in Roma (erarii) gli offrissero un tributo di protezione. Erano poi di ragione del re i dazi dei porti, le rendite dei demani, particolarmente la gabella dei pascoli (scriptura) pel bestiame che andava a pascolare sui terreni del comune, e la quota di frutti (victigalia) che gli appaltatori dei beni dello stato dovevano pagare invece di un prezzo d'appalto. A questo si aggiungeva il prodotto delle multe in bestiame, e le confische, nonchè il bottino fatto in guerra. In caso di necessità, finalmente, si metteva una imposizione (tributum), che era però considerata come un prestito forzato e che si restituiva in tempi migliori; nè ci è dato di precisare se il tributo colpisse tutti i domiciliati, fossero o no cittadini, o soltanto cittadini, come pare più verosimile.
Il re amministrava le finanze, ma i beni del pubblico non si confondevano con la sostanza privata del re che, a giudicare dalle notizie sulla vastità dei possessi dell'ultima dinastia de' Tarquinii, dev'esser stata sempre ragguardevole, e particolarmente i terreni acquistati colle armi. Non risulta precisamente se, e fino a qual grado, il re fosse vincolato dalle consuetudini nell'amministrare i beni pubblici; ma lo stato delle finanze repubblicane ci prova che i cittadini non devono mai essere stati chiamati a pagare le imposte; mentre invece deve esservi stato l'uso di interrogare il senato prima d'imporre un tributo e prima di procedere alla divisione del terreno aratorio guadagnato in guerra.