28. Ariovisto battuto.
Perciò era tanto più necessario di agire prontamente; Cesare marciò subito contro Ariovisto. Un timor panico assalì però le sue truppe, e soprattutto i suoi ufficiali, trattandosi di scendere in campo contro le schiere dei veterani tedeschi, che da quattordici anni non avevano veduto letto di sorta; nello stesso campo di Cesare sembrava introdursi l'immoralità e l'indisciplinatezza provocandovi diserzioni e sollevazioni.
Ma il supremo duce, dichiarando che all'occorrenza saprebbe affrontare il nemico colla sola decima legione, seppe con tale eccitamento all'onore avvincere alle aquile romane non solo quella legione ma anche le altre, stimolando l'emulazione guerresca, e tanto fece che riuscì ad infondere nelle truppe una parte della sua energia.
Senza lasciar loro tempo a riflettere, le condusse innanzi a marce rapide e prevenne felicemente Ariovisto nell'occupazione della città di Vesonzio (Besançon), capitale dei Sequani. Un convegno dei due duci, ch'ebbe luogo dietro richiesta di Ariovisto, pare sia stato concertato solo per nascondere un attentato contro Cesare; tra i due conquistatori della Gallia non potevano decidere che le armi.
La guerra sostò momentaneamente.
Nell'Alsazia inferiore, presso a poco nella regione di Mulhouse, un miglio circa dal Reno[15] i due eserciti rimasero accampati a poca distanza l'uno dall'altro finchè Ariovisto, lambendo con le sue truppe assai più numerose il campo dei Romani, potè prendere posizione alle spalle dei medesimi, intercettando così le comunicazioni ed i rifornimenti al nemico.
Cesare tentò di trarsi dalla sua angusta posizione con una battaglia; ma Ariovisto non l'accettò. Al duce romano, malgrado le sue poche forze, non rimaneva altro da fare che seguire il movimento del nemico e cercare di riacquistare le proprie comunicazioni facendo in modo che due legioni sfilassero vicino al nemico e prendessero posizioni al di là del campo dei Germani, mentre quattro rimanevano nel campo tenuto fino allora.
Ariovisto, viste le forze dei Romani divise, tentò un assalto ai loro campo minore; ma i Romani lo respinsero. Sotto l'impressione di questo successo tutto l'esercito romano fu fatto avanzare in ordine di battaglia; anche i Germani si disposero in ordine di battaglia in lunga linea, divisi per tribù, e per impedire possibilmente la fuga posero dietro alla linea i carri dell'esercito con le salmerie e con le donne.
L'ala destra dei Romani, condotta da Cesare in persona, si gettò impetuosa sul nemico e lo fece indietreggiare; lo stesso riuscì all'ala destra dei Germani. La bilancia stava ancora in bilico; ma la tattica delle riserve decise, come in tanti altri combattimenti contro i barbari, così anche in questo contro i Germani, in favore dei Romani. La loro terza linea, fatta avanzare a tempo in aiuto da Publio Crasso, ristabilì il combattimento sull'ala sinistra, e con essa fu decisa la vittoria.
I Romani inseguirono i nemici sino al Reno, e soltanto a pochi, e fra questi al re, riuscì di raggiungere l'altra riva (696 = 58). Con questo brillante fatto ebbe inizio il dominio romano sul gran fiume, nelle cui acque i soldati italiani si specchiavano ora per la prima volta; una sola fortunata battaglia dette in potere dei Romani la linea del Reno.
La sorte delle colonie germaniche sulla sinistra del Reno era nelle mani di Cesare; il vincitore poteva distruggerle ma non lo fece.