4.Spirito di questo sistema.
Questo sistema è basato interamente sul poco conto che i Romani facevano dei capitali.
Il servo ed il bue erano posti allo stesso livello; un buon cane da guardia tenuto alla catena, dice un economista rurale romano, non deve essere troppo benigno verso gli schiavi «suoi compagni».
Sono convenientemente nutriti il servo ed il toro sino che possono lavorare, perchè non sarebbe conforme ad una buona economia il far loro soffrire la fame; e si vendono come si vende il vomere divenuto inservibile, quando non possono più lavorare, perchè sarebbe contrario ai principî di una savia economia il conservarli più lungamente.
Considerazioni religiose avevano anticamente esercitato una benevola influenza anche in ciò, facendo dispensare il servo ed il toro dal lavoro nei giorni festivi e nei giorni di riposo[8].
Nulla vi è di più caratteristico intorno allo spirito di Catone e dei suoi partigiani quanto il modo con cui essi inculcavano la santificazione delle feste secondo il senso della parola e l'eludevano in quanto alla sostanza, consigliando cioè di lasciare bensì che in quel giorno riposasse l'aratro, ma fossero senza posa occupati gli schiavi con altri lavori non assolutamente vietati. Era massima fondamentale di non accordar loro nessuna sorta di libertà, e non si tentava nemmeno di legare con rapporti di umanità i servi alla tenuta ed al proprietario – lo schiavo, dice una delle sentenze di Catone, deve lavorare o dormire.
La lettera della legge era là, in tutta la sua nuda mostruosità, e non occorreva farsi alcuna illusione sulle conseguenze. «Tanti schiavi, tanti nemici», dice un proverbio romano.
Era una massima di buona economia quella di coltivare anzichè di soffocare le divergenze che sorgevano fra gli schiavi.
Nello stesso senso ammonivano Platone e Aristotile – e non diversamente il cartaginese Magone, che passava per l'oracolo degli agricoltori – di guardarsi bene dal radunare schiavi della stessa nazionalità per non far nascere unioni patriottiche e fors'anche dei complotti.
Si è già detto che il proprietario dei poderi trattava i suoi schiavi come la repubblica trattava i suoi sudditi nelle province, «che erano le tenute del popolo romano» ed il mondo si accorse che lo stato dominante andava svolgendo il suo nuovo sistema di governo sul sistema del detentore di schiavi.
Elevati poi a quella poco invidiabile altezza del pensiero, che nell'economia non apprezza assolutamente altro all'infuori del capitale impiegatovi, noi non possiamo negare all'economia rurale romana la lode di rettitudine, di attività, di frugalità e di solidità.
Il robusto e pratico contadino è ben rispecchiato nella descrizione che fa Catone dell'intendente per eccellenza; esso è nella fattoria il primo ad alzarsi, l'ultimo a coricarsi; è severo verso se stesso come lo è colla sua gente; egli, prima di tutto, deve sapersi fare rispettare dalla fattoressa; ma è altresì sollecito pel buon trattamento dei lavoratori e del bestiame e particolarmente dei tori d'aratro; esso dà una mano a qualsiasi lavoro, ma non s'affatica al pari di uno schiavo; sta sempre in casa, non fa prestiti e non prende a prestito, non dà trattamenti, non si prende pensiero per altro culto divino fuorchè per quello dei propri penati e degli dei campestri, e, da vero schiavo abbandona al suo padrone ogni rapporto cogli dei e cogli uomini; finalmente, e prima di tutto, egli si presenta al padrone con compostezza e si conforma fedelmente ed ingenuamente alle istruzioni ricevute senza riflettervi nè troppo nè poco.
È un cattivo contadino, si legge altrove, colui che compra ciò che può far produrre dal proprio campo; è un cattivo padre di famiglia colui che fa col lume ciò che può fare di giorno, a meno che faccia cattivo tempo; più cattivo è colui che fa nel giorno festivo ciò che può fare nel feriale; ma il peggiore di tutti è colui che nel bel tempo fa lavorare in casa invece di far lavorare in campagna.
E non vi manca nemmeno il caratteristico entusiasmo per l'ingrasso; e sono certamente preziose massime, quelle, ove è detto, che il suolo fu dato al contadino non per essere lustrato e spazzato, bensì per essere seminato e mietuto, e ch'egli deve quindi prima pensare a piantare viti ed ulivi, e poi a fabbricare la sua villa ed anche, allora, far ciò in un'età non troppo verde.
Una certa rusticità distingue certamente questa economia rurale, ed invece della razionale investigazione delle cause e degli effetti s'incontrano generalmente le notorie massime di esperienza rustica; ma è visibile la sollecitudine di far capitale dell'altrui esperienza e di rendere indigeni i prodotti di paesi stranieri, come consta dal catalogo degli alberi fruttiferi di Catone, ove sono indicati quelli di provenienza greca, africana e spagnuola.