29. Condizioni marittime.
Dobbiamo ancora gettare uno sguardo sulle condizioni marittime di quest'epoca, benchè difficilmente si possa dire altro che non esisteva più quasi alcuna forza marittima.
Cartagine era distrutta, la forza della Siria ridotta a nulla in virtù del trattato, l'armata egiziana, già così potente, profondamente decaduta sotto il suo debole governo. I piccoli stati, specialmente le città mercantili, avevano bensì alcuni navigli armati, ma non bastavano nemmeno alla difficile repressione della pirateria nel Mediterraneo.
Questa toccava necessariamente a Roma, come prima potenza del mare. Come appunto un secolo addietro i Romani avevano impiegato seriamente contro questo flagello le particolari e benefiche loro cure nel Mediterraneo, e specialmente nella sua parte occidentale, mantenendovi per il bene generale una energica polizia marittima, ora l'assoluta mancanza di questa dimostra certamente già sul principio di questo periodo la spontanea rapidità della decadenza del governo aristocratico.
Roma non aveva più una propria flotta; essa si accontentava di esigere, all'occorrenza, navi dalle città marittime d'Italia, dell'Asia minore e d'altri paesi. La conseguenza naturalmente fu che si andò solidamente organizzando la pirateria. Per reprimerla se non si fece abbastanza, pure si tentò qualche cosa e quanto almeno stava nell'immediato potere del Romani nel mare Adriatico e nel Tirreno. Le spedizioni fatte sulle coste della Liguria e della Dalmazia in quest'epoca miravano specialmente alla distruzione dei pirati in questi due mari italici; col medesimo scopo l'anno 631 = 123 furono occupate le isole Baleari.
Invece nelle acque della Mauritania e della Grecia fu lasciata ai vicini ed ai navigatori la cura d'intendersela coi predatori, perchè la politica romana rimaneva fedele alla sua massima di darsi meno pensiero che potesse di queste più lontane regioni. I comuni rovinati e falliti degli stati litoranei, lasciati in balìa di sè stessi, divennero altrettanti asili di corsari; e di questi specialmente in Asia non v'era penuria. Come tale si distingueva Creta, che per la sua felice posizione e per la debolezza o stanchezza delle grandi potenze orientali e occidentali, sola fra le colonie greche aveva conservata la sua indipendenza; vennero i commissari romani e visitarono anche quest'isola, ma ottennero ancor meno che nella Siria e nello stesso Egitto.
Sembrava perciò che la sorte avesse lasciato ai Cretesi la libertà solo per dimostrare i risultati della indipendenza ellenica. Era un quadro spaventevole. L'antica severità dorica degli ordinamenti comunali come a Taranto si era trasformata in una dissoluta democrazia; il carattere cavalleresco degli abitanti in una selvaggia smania di attaccar brighe e di far bottino; un greco rispettabile dice egli stesso, che solo in Creta nulla è disonesto quando è profittevole, e l'apostolo Paolo cita un verso di un poeta cretese «Siete tutti mentitori, poltroni, bestie immonde, o Cretesi».
Le eterne guerre cittadine, nonostante le pacificazioni romane nella antica «Isola dalle cento città», mutarono l'un dopo l'altro i paesi fiorenti in mucchi di rovine. I suoi abitanti percorrevano da padroni il proprio paese e i paesi stranieri, i continenti e il mare; l'isola divenne la sede principale dell'arruolamento dei mercenari per i vicini stati, quando tale sconcio non era più tollerato nel Peloponneso, e specialmente divenne la vera sede della pirateria, ed appunto in questo tempo, ad esempio, l'isola di Sifno fu saccheggiata da una flotta corsara cretese.
Rodi, che perduti i suoi possedimenti di terraferma pei colpi portati al suo commercio, tentava invano di riacquistare le sue antiche forze, le consumava nelle guerre a cui era costretta contro i Cretesi per lo sterminio della pirateria (verso il 600 = 154) e nelle quali i Romani entrarono mediatori, ma non seriamente e non si fece nulla.
Oltre l'isola di Creta anche la Cilicia ben presto diventò un asilo di questi predoni, e qui non era solo l'impotenza del sovrano della Siria quella che veniva in aiuto di questa genia; l'usurpatore Diodoto Tritone, che da schiavo elevatosi a re della Siria (608-615 = 146-139), voleva rassodarsi sul suo trono con l'aiuto dei corsari e sosteneva la pirateria nella sua provincia principale, cioè nell'aspra Cilicia occidentale, con tutti i mezzi di cui poteva disporre.
Il traffico molto lucroso con i pirati, che erano al tempo stesso i primi cacciatori ed i primi negozianti di schiavi, assicurò loro nel ceto mercantile persino in Alessandria, in Rodi e in Delo una certa tolleranza, a cui almeno con la loro inerzia partecipavano i governi stessi.
Il male si era fatto così serio, che il senato verso il 611 = 143 spedì il suo migliore uomo di stato, Scipione Emiliano, ad Alessandria e nella Siria per indagare sul luogo che cosa occorresse per porvi riparo. Ma le rimostranze diplomatiche dei Romani non rendevano forti i governi deboli; l'unico rimedio era di mantenere in queste acque una flotta, e per attuare questa misura il governo romano difettava di energia e di costanza. Così nulla si mutò, la flotta dei pirati rimase la sola ragguardevole forza navale del Mediterraneo, quello degli schiavi l'unico fiorente commercio.
Il governo romano rimaneva spettatore; i negozianti romani, i migliori fra i frequentatori del mercato degli schiavi, si trovavano a Delo e altrove nei più attivi ed amichevoli rapporti commerciali con i capi dei pirati, che erano considerati come i più ragguardevoli negozianti all'ingrosso di questa merce.