12. La perdita della Campania.
Eccettuata Nocera, che si mantenne salda nella fede di Roma, i Romani perdettero tutta la Campania sino alle falde del Vesuvio; Salerno, Stabia, Pompei, Ercolano si dichiararono per gli insorti; Mutilo potè avanzare nel paese a nord del Vesuvio e col suo esercito sannita-lucano assediare Acerra.
I Numidi, che si trovavano in gran numero nell'esercito di Cesare, incominciarono a passare a torme sotto le insegne di Mutilo e soprattutto di quelle di Ossinta, figlio di Giugurta, che, nella resa di Venosa, caduto nelle mani dei Sanniti, si presentava ora nelle loro file vestito della porpora reale, così che Cesare si vide costretto a rimandare in patria l'intero corpo africano.
Mutilo ebbe persino il coraggio di attaccare un campo romano; ma fu respinto, e i Sanniti, che nella ritirata furono assaliti alle spalle dalla cavalleria romana, lasciarono 6000 morti sul campo di battaglia.
Fu questo il primo importante successo che i Romani ottenessero in questa guerra; l'esercito proclamò imperator il generale e a Roma si rinfrancarono gli animi profondamente abbattuti.
Non molto tempo dopo l'esercito vittorioso fu da Marco Egnazio assalito al passaggio di un fiume e così completamente battuto, che dovette ritirarsi sino a Teano per riorganizzarsi: però gli sforzi del console, prima che si avvicinasse l'inverno, riuscirono a rimettere l'esercito in stato di affrontare il nemico e di riprendere l'antica sua posizione dinanzi alle mura di Acerra, sempre stretta d'assedio dal grande esercito sannitico sotto il comando di Mutilo.
Anche nell'Italia centrale erano incominciate le operazioni, e qui l'insurrezione, partendo dagli Abruzzi e dal paese bagnato dal lago del Fucino, minacciava da vicino la capitale.
Un corpo indipendente comandato da Gneo Pompeo Strabone fu spedito nel Piceno, donde, appoggiato su Fermo e Falerio, minacciava Ascoli; invece il grosso dell'esercito romano comandato da Lupo si accampò sul confine del territorio latino e marsico, ove il nemico, a cagione delle due vie Valeria e Salaria, era più vicino alla capitale; il fiumicello del Toleno (Turano), che taglia la via Valeria tra Tivoli e Alba e presso Rieti mette nel Velino, separava i due eserciti.
Impaziente, il console Lupo si spinse ad un combattimento decisivo, non ascoltando i molesti consigli di Mario, che ammoniva doversi prima addestrare gli inesperti legionari nei piccoli scontri. Così fu prima completamente battuta la divisione capitanata da Caio Perpenna, forte di 10.000 uomini, tanto che il supremo comandante destituì il vinto generale e congiunse i resti di quell'esercito all'altro comandato da Mario, prendendo tuttavia l'offensiva e passando il Toleno su due ponti, l'uno vicino all'altro, con due divisioni condotte da lui stesso e parte da Mario.
Stava loro di fronte Publio Scatone coi Marsi; egli si era accampato sul luogo dove Mario passò il fiume; ma, prima del passaggio, si era levato di là lasciandovi solo le scolte del campo, e risalendo il fiume era caduto in un'imboscata; attaccato al suo passaggio l'altro corpo di truppe romane comandate da Lupo, parte ne mise in pezzi, parte ne fece precipitare nel fiume (11 giugno 664 = 90).