12. Restrizione sulla concessione della cittadinanza.
L'ammissione di non cittadini nella cittadinanza romana, fossero comuni od individui, fu quasi interamente preclusa.
Verso l'anno 504=250, per non decentrare soverchiamente la borghesia romana coll'estenderla oltre misura, i Romani avevano desistito dall'antico sistema d'incorporare nel comune di Roma i comuni soggiogati, e perciò erano stati istituiti i comuni semi-cittadini.
Ora l'accentramento nel comune fu abbandonato, mentre in parte i comuni semi-cittadini ottennero il pieno diritto di cittadinanza, e molte lontane colonie cittadine fecero accesso al comune; ma il vecchio sistema d'incorporazione rimase decisamente abbandonato.
Non consta che, dopo la compiuta sottomissione dell'Italia, un solo comune italico abbia ottenuto il diritto di cittadinanza romana invece del diritto federale; ed è probabile che realmente, d'allora in poi, nessuno l'abbia ottenuto.
Ma anche l'ammissione di singoli individui italici al diritto di cittadinanza divenne allora enormemente difficile, specialmente per la restrizione del diritto di emigrazione legalmente connesso colla cittadinanza passiva; se ne faceva un'eccezione quasi per i soli magistrati dei comuni latini e per quei non-cittadini che, per favore particolare, erano ammessi a far parte delle colonie cittadine di nuova fondazione[8].
Non si può negare a queste metamorfosi di fatto e di diritto nelle condizioni dei sudditi italici, per lo meno una certa intima coerenza e conseguenza.
La condizione delle classi dei sudditi in generale peggiorò in proporzione della graduazione, in cui si erano trovati sino allora, e, mentre il governo si era prima mostrato sollecito a temperare le distinzioni e a ordinare i mezzi di transizione, ora ogni riguardo fu bandito e rotto ogni anello di congiunzione.
Nel modo che nella cittadinanza romana la classe dei signori si scostava dal popolo, si sottraeva generalmente al pagamento delle pubbliche gravezze e si appropriava gli onori ed i vantaggi, così la cittadinanza, a sua volta, affrontava la federazione italica e sempre più l'escludeva dal fruire dei vantaggi della signoria, imponendole una doppia e triplice porzione delle pubbliche gravezze.
Come la nobiltà in rapporto ai plebei, così la cittadinanza in rapporto ai non-cittadini, si ritraeva nell'isolamento del cadente patriziato.
Non si può biasimare per se stessa l'abolizione della cittadinanza passiva, e quanto al motivo che la determinò, essa si connette probabilmente ad un altro, di cui si parlerà più tardi; se non che, con questa abolizione, si perdette un mezzo di conciliazione.
Cessò ora (e fu questa una circostanza di molto maggior momento) ogni distinzione fra i comuni latini e gli altri italici. Base della potenza romana era la posizione privilegiata della nazione latina in Italia; essa vacillò tosto che le città latine cominciarono a non considerarsi più quali membri privilegiati nella signoria del potente comune affine, ma eguali in sostanza a tutte le altre città soggette a Roma, e quando tutti gli Italici cominciarono a trovare egualmente insopportabile la loro situazione.
È ben vero che vi si facevano delle distinzioni. I Bruzi ed i loro compagni di sventura erano trattati quasi fossero tanti schiavi ed essi si conducevano come lo fossero, poichè, ogni qual volta lo potevano, disertavano dalla flotta, dove servivano nei banchi dei rematori, e si recavano volentieri ad ingrossare le file dei nemici dei Romani; e considerando inoltre che i sudditi celti, e particolarmente quelli d'oltremare, formavano una classe molto più oppressa di quella degli Italici, una classe studiatamente abbandonata dal governo al loro disprezzo ed ai loro maltrattamenti, si concluderà che anche nella sudditanza si distingueva una graduatoria, la quale però non poteva offrire alcun conveniente compenso con l'anteriore antitesi tra i sudditi italici di schiatta affine e di schiatta estranea.
Un profondo malumore si diffuse in tutta la federazione italica e solo il timore ne impedì la manifestazione.
La proposta fatta in senato, dopo la giornata di Canne, di accordare la cittadinanza romana e un seggio in senato a due uomini di ogni comune latino, fu, col pretesto del momento inopportuno, respinta, e con ragione; ma essa prova l'inquietudine colla quale, sino da allora, si consideravano nella capitale i rapporti tra il Lazio e Roma.
Se a quel tempo un secondo Annibale avesse portato la guerra in Italia, si poteva porre in dubbio che egli dovesse incontrare ancora la ferma resistenza del nome latino contro il dominio straniero.