5. Gli Italici e Druso.
In mezzo al vivo fermento che questa legge e i molti processi sorti da essa sparsero per tutta l'Italia, parve agli Italici di vedere un'altra volta elevarsi sull'orizzonte una benigna stella in Marco Druso.
Ciò che era sembrato quasi impossibile, che un riformatore riassumesse le idee di riforma dei Gracchi e fosse cagione che trionfasse il principio dell'uguaglianza politica degli Italici, era ormai un fatto; un uomo dell'alta aristocrazia si era deciso di emancipare al tempo stesso, dallo stretto di Messina alle Alpi, il governo e gli Italici e di consacrarsi con tutto il suo zelo e tutta l'abnegazione a questi generosi piani di riforma.
Non è certo se egli, come si disse, si sia posto di fatto alla testa d'una legge[2] segreta, le cui fila si estendevano per tutta l'Italia ed i cui membri si obbligavano con giuramento[3] di tenersi uniti per Druso e per la causa comune; ma quando anche egli non abbia prestato il suo appoggio a così pericolosi tentativi, veramente strani per un magistrato romano, certo egli non si contentò di vaghe promesse, e in suo nome, sebbene forse senza e contro il suo volere, si ordirono pericolose trame.
Con giubilo fu accolta in Italia la nuova che le prime proposte di Druso erano passate in senato a grande maggioranza; e con giubilo ancora maggiore di lì a poco festeggiarono tutti i comuni d'Italia la guarigione del tribuno da una grave malattia improvvisa.
Ma le cose cambiarono quando furono manifeste le altre intenzioni di Druso; egli non potè osare di proporre la legge principale; dovette sospendere, soprassedere e presto ritirarsi. Si apprese allora che la maggioranza del senato, fatta mal sicura, minacciava di separarsi dal suo campione.
Come un lampo si divulgò subito dopo per tutta Italia la novella, che la legge già passata era stata abrogata, che i capitalisti erano ora più potenti che mai, che il tribuno era stato colpito da mano assassina e che era morto (autunno 663 = 91).