20. Stragi democratiche in Roma.
Mario diede perciò ordine al pretore Lucio Bruto Damasippo, che ne aveva il comando, di sgombrarla, ma prima di partire di mettere a morte tutti gli uomini distinti del partito avversario fino allora risparmiati. L'ordine con cui il figlio superò le prescrizioni del padre, fu eseguito; avendo Damasippo radunato con un pretesto il senato, gli uomini destinati a soccombere furono in parte trafitti durante la seduta, in parte nella fuga davanti al palazzo.
Nonostante la strage precedente, si noverano in questa parecchie insigni vittime, come l'antico edile Publio Antistio, suocero di Gneo Pompeo, e il già pretore Caio Carbone, figlio del noto amico e poi avversario dei Gracchi, i quali dopo la morte di tanti uomini illustri erano i soli che nel deserto foro romano si distinguessero come oratori giudiziari; il consolare Lucio Domizio e specialmente il venerando sommo sacerdote Quinto Scevola, sottrattosi al pugnale di Fimbria per lasciare adesso, negli ultimi istanti della rivoluzione, la vita nel peristilio del tempio di Vesta affidato alla sua custodia.
Con muto orrore la moltitudine vedeva trascinare per le vie e gettare nel Tevere i cadaveri di queste ultime vittime del terrorismo.