8. Lega contro la nobiltà.
A queste complicazioni, per cui la nobiltà plebea si vedeva tuttavia esclusa dall'eguaglianza dei diritti politici, ed i poveri contadini si trovavano più deboli di fronte alla federazione economica delle classi superiori, non parve difficile di portare rimedio con un compromesso.
A tale effetto i tribuni del popolo Gaio Licinio e Lucio Sestio fecero al comune le seguenti proposte: da un lato stabilire, sopprimendo il tribunato consolare, che uno almeno dei due consoli dovesse essere scelto tra i plebei, e aprire a questi la via ad uno dei tre grandi collegi sacerdotali, a quello dei conservatori degli oracoli (duoviri prima, e poscia decemviri sacris faciundis) da aumentarsi fino a dieci membri; dall'altro lato, quanto all'uso delle terre pubbliche, non permettere ad alcun cittadino di condurre sui pascoli comunali più di cento buoi e di cinquecento pecore, e non lasciare che alcuno pigliasse possesso d'uno spazio di terreno superiore ai cinquecento iugeri sui fondi pubblici destinati all'occupazione; obbligando oltre ciò i possidenti ad assumere fra i loro coltivatori un numero di proletari proporzionato a quello dei servi della gleba; e infine procacciare ai debitori una facilitazione col diffalcare dal capitale gli interessi pagati e con lo stabilire termini fissi per la restituzione. La tendenza di tali disposizioni era chiara e palese. Esse miravano a strappare dalle mani dei nobili l'esclusivo possesso delle cariche curuli e degli annessi privilegi ereditari, ciò che non si credeva di poter raggiungere in modo soddisfacente che, escludendo, per legge, i nobili dal secondo posto di console; dovevano liberare i membri plebei del senato dalla posizione subordinata nella quale si trovavano come muti ascoltatori, in modo che almeno coloro che avevano rivestita la dignità consolare, acquistassero con ciò il diritto di esporre il loro parere con i consolari patrizi, prima di tutti gli altri senatori patrizi.
Esse dovevano inoltre togliere alla nobiltà l'esclusivo possesso delle dignità sacerdotali; si lasciò, per buone ragioni, che gli antichi sacerdozi latini degli auguri e dei pontefici rimanessero ai cittadini originari; ma si costrinsero a dividere coi cittadini avventizi il terzo grande collegio appartenente in origine ad un culto straniero.
Esse dovevano finalmente procurare al popolo minuto la partecipazione dell'usufrutto dei beni comunali; ai debitori alleviamento, ai proletari disoccupati lavoro.
La soppressione dei privilegi, la riforma sociale, l'eguaglianza politica erano le tre grandi idee che dovevano prender forma colle misure suaccennate. Invano si sforzavano i patrizi di combattere con ogni mezzo, anche estremo, questi progetti di legge: la stessa dittatura, lo stesso vecchio eroe Camillo, riuscirono a ritardare, ma non ad impedire la loro effettuazione.
Anche il popolo avrebbe volentieri diviso le proposte; che importava al popolo il consolato o l'ufficio dei conservatori degli oracoli? Ciò che ad esso importava era l'alleviamento del peso dei debiti e la liberazione del terreno comunale! Ma i notabili della plebe non erano popolari; essi riunirono tutte le proposte in un solo progetto di legge, che dopo lunghissimi contrasti durati, dicono, undici anni, venne finalmente votato dal senato l'anno 387 = 367.