14. Distruzione dell'esercito pontico.
Così l'immenso esercito di Mitridate, che, compreso il corpo delle salmerie, si valutava in 300.000 uomini, si trovava nell'impossibilità di combattere e di marciare, conficcato com'era tra l'inespugnabile città e l'immobile esercito romano, e per tutti i suoi bisogni ridotto solo al mare, che per fortuna dei Pontici era esclusivemente dominato dalla loro flotta.
Ma si approssimava la cattiva stagione; una tempesta distrusse una parte delle opere d'assedio; la mancanza dei viveri e specialmente del foraggio per i cavalli cominciò a divenire insopportabile. Le bestie da soma e le salmerie, colla scorta della maggior parte della cavalleria pontica, furono allontanate con l'ordine di cavarsela di soppiatto o di aprirsi a qualunque costo una via; ma Lucullo raggiunse il convoglio sul fiume Rindaco dalla parte orientale di Cizico e lo fece a pezzi.
Un'altra divisione di cavalleria, comandata da Metrofane e da Lucio Fannio fu costretta dopo un lungo vagare nell'Asia minore occidentale a fare ritorno nel campo posto sotto Cizico.
La fame e le malattie contagiose facevano terribile strage nelle schiere pontiche. Arrivata la primavera (681 = 73) gli assediati raddoppiarono i loro sforzi e presero le trincee piantate sul Dindimo; al re non rimaneva altro che levare l'assedio e salvare quanto si poteva col mezzo della flotta.
Egli stesso partì colla flotta alla volta dell'Ellesponto; ma tanto nell'imbarco quanto lungo la rotta ebbe molto a soffrire per le tempeste. La stessa direzione presero anche Ermeo e Mario con l'esercito di terra, per imbarcarsi in Lampsaco sotto la protezione delle mura della città.
Essi abbandonarono i loro bagagli, gli ammalati ed i feriti che furono tutti massacrati dai Ciziceni. Strada facendo Lucullo, al passaggio dei fiumi Esepo e Granico, cagionò loro considerevoli danni; essi raggiunsero però il loro scopo: le navi pontiche condussero i resti del grande esercito ed i cittadini di Lampsaco lontani dalla portata dei Romani.
Lucullo, col suo conseguente ed assennato modo di guerreggiare, non solo aveva rimediato agli errori commessi dal suo collega, ma aveva anche distrutto senza dare una battaglia campale, il fiore dell'esercito nemico, composto, come si diceva, di 200.000 uomini. Se avesse avuto la flotta, arsa nel porto di Calcedonia, egli avrebbe annientato tutto l'esercito nemico; invece l'opera di distruzione rimase incompiuta ed egli dovette perfino provare il dispiacere di vedere che, nonostante la catastrofe di Cizico, la flotta pontica prendesse posizione nella Propontide, che la medesima bloccasse Perinto e Bisanzio sulla costa europea, che fosse da essa saccheggiata Priapo sulla costa asiatica, e che il quartier generale dei re fosse posto nel porto bitinico di Nicomedia.
Anzi una squadra scelta di 50 vele con a bordo 10.000 uomini scelti, tra i quali Marco Mario e il nerbo degli emigrati romani, si recò nel mare Egeo; corse voce che dovesse approdare in Italia per accendervi di nuovo la guerra civile.