5. Cesare di fronte ai partiti.
Se ciononostante egli, non curando le ammonizioni e le esortazioni dei suoi amici, senza illudersi sulla irreconciliabilità anche degli avversari graziati, perseverava con ammirabile freddezza a perdonare ad un grandissimo numero di essi, ciò non era nè generosità cavalleresca di una orgogliosa natura, nè benignità di un fiacco carattere, ma era la giusta considerazione di un uomo di stato, secondo la quale i partiti vinti si assorbiscono più presto e con minore danno dello stato entro lo stato, che quando si cerca di disperderli coll'esilio o di tenerli lontani dalla repubblica col bando.
Per i suoi alti disegni Cesare aveva bisogno persino del partito della costituzione, il quale comprendeva non soltanto l'aristocrazia, ma tutti gli elementi di libertà e di nazionalità nel senso della borghesia italica; pei suoi disegni di ringiovanimento dello stato, che andava invecchiando, gli era necessario fare assegnamento su tutta la massa di ingegni, di coltura, di considerazione ereditata ed acquistata che questo partito possedeva, e in tal senso egli avrà pensato essere il perdono accordato agli avversari la più bella ricompensa della vittoria.
In questo modo furono resi innocui i più notevoli capi dei partiti vinti; invece gli uomini di secondo e di terzo ordine, e particolarmente quelli della più giovine generazione, furono bensì amnistiati, ma non fu però loro permesso di starsene imbronciati in una opposizione passiva, e furono con maggiore o minore violenza indotti a fare adesione al nuovo governo e ad accettare dal medesimo onori ed impieghi. Come per Enrico IV e per Guglielmo d'Orange, così anche per Cesare le maggiori difficoltà cominciarono a farsi sentire subito dopo la vittoria.
Ogni vincitore rivoluzionario acquista l'esperienza che, se dopo avere soggiogato gli avversari non vuole rimanere capoparte come Cinna e Silla, ma vuole invece, come Cesare, Enrico IV e Guglielmo d'Orange porre al posto del programma di parte, necessariamente parziale, il benessere dello stato, allora si uniscono tutti i partiti, il proprio come l'avversario, contro il nuovo signore, e tanto più serrati, quanto più grande e più chiara egli concepisce la sua nuova vocazione.
Benchè i partigiani della costituzione ed i pompeiani facessero colle labbra omaggio a Cesare, essi avversavano però segretamente la monarchia, o per lo meno la dinastia; dacchè la caduta democrazia comprese che gli scopi di Cesare non erano quelli a cui essa mirava, si sollevò contro di lui apertamente; persino gli aderenti sinceri di Cesare mormorarono quando s'accorsero che il loro capo invece d'uno stato da condottiero fondava una monarchia basata sull'eguaglianza e sulla giustizia, e quando coll'associazione dei vinti videro scemare le parti dei guadagni loro spettanti.
Tale ordinamento della repubblica non era gradito a nessun partito e dovette essere imposto agli aderenti non meno che agli avversari. La posizione di Cesare era in un certo senso più pregiudicata che non prima della vittoria; ma quello che andò perduto per lui fu guadagnato dallo stato. Mentre egli distrusse i partiti non solo si mostrò indulgente coi partigiani, ma assegnò cariche a tutti gli uomini di ingegno senza riguardo al loro passato politico, si accaparrò tutte le forze attive per farle servire al suo grande edificio, e, procurandosi spontaneo od obbligato il concorso degli uomini di tutti i partiti, condusse insensibilmente sul nuovo terreno anche la nazione.
Che questo uguagliamento dei partiti non fosse per il momento che apparente, e che i medesimi s'incontrassero molto meno nell'attaccamento al nuovo stato che nell'odio contro Cesare, egli non lo ignorava; ma ben sapeva che in tali apparenti contraddizioni le opposizioni si spuntano e che soltanto su questa via l'uomo di stato precede il tempo, il quale, solo in ultima analisi, fa cessare simili avversioni adagiando la vecchia generazione nella tomba. E ancor minore pensiero egli si dava per sapere chi l'odiasse o chi meditasse di attentare alla sua vita.
Al pari di ogni vero uomo di stato, Cesare serviva il paese non per mercede e nemmeno per avere in ricompensa l'amore della popolazione, ma sacrificava il favore dei suoi contemporanei per le benedizioni avvenire e anzitutto per poter salvare e ringiovanire la sua nazione.